Orbetello (Grosseto), 3 maggio 2024 – I segnali del cambiamento climatico si intravedono sempre di più anche nel mare della Costa d’Argento. Soprattutto se chi ci lavora e ci naviga fin da bambino, si ritrova poi davanti a fenomeni a cui non riesce a dare una spiegazione, finché poi dai fondali non emerge uno squalo mako. Una specie protetta che solitamente abita i mari tropicali, che sempre di più sta facendo la sua comparsa nel mar mediterraneo, forse per l’aumento delle temperature dell’acqua.
Insolito, infatti, che da circa un mese davanti alle coste di Talamone stazionano immensi banchi di pesce azzurro, per lo più palamite e tonni alletterati di dimensioni medio piccole che sono attratte da una gran quantità di pesce foraggio, in questo caso le piccole acciughe. A loro volta questi branchi attraggono l’attenzione di molti delfini, che se ne cibano. Ma non solo: "Da qualche giorno, quando salpavamo le reti, tra le Cannelle ed il Salto del Cervo, avevamo notato che venivano su, impigliati nella rete, pesci azzurri a cui mancava una parte del corpo – racconta Paolo Fanciulli, pescatore professionista, nato e cresciuto a Talamone, noto per le sue battaglie a difesa del mare – i segni inequivocabili erano quelli del morso di un grosso pesce che si cibava dei pesci impigliati, morsi però differenti da quelli dei delfini, con cui abbiamo a che fare tutti i giorni".
Segnali al momento non semplici da interpretare fino a che, la mattina dello scorso 30 aprile in concomitanza con la calata in mare dei primi elementi del progetto della Casa dei Polpi, è venuto a galla impigliato nella rete, ma ormai privo di vita, un esemplare di squalo mako di circa 150 centimetri e poco più di 10 chilogrammi di peso. Un pesce che, in base agli studi fatti su longevità e caratteristiche potrebbe aver avuto tra i 10 e 20 anni di età e che, nell’immaginario collettivo, è associato anche ad una potenziale pericolosità per l’uomo. In realtà il mako si ciba di pesce azzurro, di tonni ed a volte anche di pesce spada, anche se raramente si avvicina ai bassi fondali: "Si tratta di una cattura accidentale, che avremmo evitato sicuramente se fosse stato possibile – spiega Paolo Fanciulli, che lo ha pescato – ma il mako è rimasto impigliato nel tentativo di mangiare un pesce dalla rete. E’ un evento che a volte è successo per altre varietà di squali, quali gattucci e verdesche, ma mai si era presentato un pesce di questo genere che, infatti, non sapevo di che razza fosse".
Ad aiutare Fanciulli nell’identificazione è venuta incontro Letizia Marsili, docente di biologia marina dell’Università di Siena che ha preso in carico la carcassa dello squalo per studiarne stato e eventuali cause del suo avvicinamento. La cattura è avvenuta, infatti, ad un centinaio di metri dalla linea di costa, su un fondale di 15 metri.