NICOLA CIUFFOLETTI
Cronaca

Viticoltura e futuro: "Sul ciliegiolo bisogna investire. Crescerà tantissimo"

Francesco Mazzei, presidente del Consorzio tutela Vini Maremma, evidenzia le potenzialità: "Nel giro di 10 anni raddoppierà gli ettari. Ma dobbiamo crederci, chi produce solo mille bottiglie non lo fa".

Viticoltura e futuro: "Sul ciliegiolo bisogna investire. Crescerà tantissimo"

Viticoltura e futuro: "Sul ciliegiolo bisogna investire. Crescerà tantissimo"

Nella Maremma della viticoltura c’è un vitigno che può rappresentare una scommessa per il futuro, ma bisogna crederci di più. È il ciliegiolo, recentemente celebrato e degustato alla Fortezza Orsini di Sorano in occasione della seconda edizione di "Ciliegiolo di Maremma e d’Italia". Dei circa 1.200 ettari coltivati a ciliegiolo in Italia, 550 si trovano in Toscana e di questi 310 sono in Maremma. In Toscana il ciliegiolo è al 12esimo posto tra i vitigni più coltivati e rappresenta meno dell’1% del totale, mentre in Maremma è l’ottavo con il 3,4%, ed è il quarto per ettolitri imbottigliati: 3.163, il 6,1% del complessivo (nel 2013 gli erano appena 1.216). Oggi se ne producono circa 400mila bottiglie sulle 7 milioni dell’intera Doc Maremma Toscana. Chi in Maremma già dice la sua è invece il vermentino che occupa 973 ettari ed è sul podio più alto dei vini imbottigliati: 16.161 ettolitri che rappresentano oltre il 31% del globale.

Analisi, progetti e prospettive sono quelle di Francesco Mazzei, presidente del Consorzio Tutela Vini della Maremma.

"Il ciliegiolo nei prossimi 5-10 anni raddoppierà i suoi ettari – sostiene il presidente –. Sono convinto che la Maremma, con il suo alfiere che è di sicuro il vermentino e con il ciliegiolo, autoctono riscoperto che ci sta dando belle soddisfazioni, possa dire la sua: c’è bisogno di molto impegno perché siamo abbastanza indietro ma questa dobbiamo leggerla come un’opportunità. C’è la volontà, c’è l’energia e quindi sono convinto che faremo parlare di noi nel prossimo decennio".

Autoctono toscano storicamente utilizzato nel taglio con altre uve, a partire dal sangiovese, per dare alcolicità, morbidezza e dolci note fruttate, il ciliegiolo è stato considerato per anni un vitigno ’minore’. La sua riscoperta la si deve alla sua vigoria, alla sua discreta resistenza al caldo e ai climi secchi, e soprattutto alla sua duttilità che ha permesso di produrlo in purezza, di vinificarlo in bianco per il rosé, di appassirlo e di invecchiarlo con il proposito di donargli un’inedita ’allure’ attraverso lo scorrere del tempo. Qualcuno ci è indubbiamente riuscito, ma la maggior parte ne ha sostanzialmente snaturato il suo senso primo, che è quello di un vino che il suo massimo lo esprime proprio nella sua immaturità: immediato e fresco. "Penso che il Ciliegiolo – commenta Mazzei – sia un vitigno molto interessante e molto contemporaneo per le sue caratteristiche di identità forte e piacevolezza". Un vino che va molto bene anche tra i giovani che cercano un approccio più semplice ma c’è un elemento che Mazzei ci tiene a precisare: delle 57 bottiglie in degustazione a Sorano, molte erano prodotte in meno di tremila bottiglie e diverse sotto le mille. "Se uno di ciliegiolo fa mille bottiglie significa che non ci crede molto: se sei convinto che ci sia un potenziale devi investirci, piantare, reinnestare e via dicendo – sottolinea Mazzei –. Per mille bottiglie non c’è mercato, evidentemente il ciliegiolo è una cosa carina ma ancora un po’ di contorno, salvo alcuni che invece ci si sono concentrati. Vediamo se riusciamo a traghettarla ad una dimensione più interessante". Chi nel ciliegiolo ha certamente dimostrato di crederci è la Cantina Vignaioli di Scansano: il suo "Capoccia 2023" ha portato sul mercato 120mila bottiglie.