
Lo spettacolo Slava's Snowshow
La Spezia, 31 marzo 2025 – Libero, lirico, ironico, fantasioso, divertentissimo e tenero, talvolta venato di malinconia. È lo ‘Slava’s Snowshow’, poetico, universale e senza tempo, che continua a incantare milioni di spettatori di tutte le nazionalità, e che sarà al Teatro Civico in tre tappe targate Ad Eventi: mercoledì 9 aprile alle 21, e giovedì 10 aprile alle 17.30 e alle 21. Il suo geniale ed eccentrico ideatore, il pluripremiato Slava Polunin, è considerato ‘il miglior clown del mondo’ che, in questo spettacolo, accoglie i numeri più belli e famosi del suo repertorio.
Anche da bambino era un sognatore?
“Inventavo sempre qualcosa – esordisce Slava – ritrovandomi in ogni tipo di avventure e per questo mi sono pure preso qualche sculaccione da mamma e papà. Non mi sono comunque bloccato, ero probabilmente un visionario e sono rimasto così. Mi sento un bambino ed è una cosa che mi piace davvero molto”.
Affascinato fin da quegli anni dalla figura del clown?
“Ricordo bene un momento curioso della mia infanzia. A scuola, la maestra ci assegnò il classico tema in cui ci chiedeva di esprimere un pensiero sul nostro futuro: ‘chi vuoi diventare?’. E, come potrete immaginare, io ho scritto che volevo arrivare ad essere un clown, sebbene non sapessi pienamente cosa fosse”.
Non è un segreto, due i suoi ‘insegnanti’: Charlie Chaplin e Marcel Marceau. Cosa ha imparato da loro?
“Due artisti che adoro ancora oggi, per me dei veri idoli. Dal primo, sicuramente, che la commedia non sia possibile senza la tragedia, e viceversa. Poi, senza dubbio, che cosa sia l’immagine del clown, la maschera del clown, come si crea e come vive. E pure del come prendere padronanza dell’arte della gag”.
Ma di Chaplin ha qualche ricordo speciale?
“Da piccolo, mentre stavo guardando con gioia il capolavoro ‘Il monello,’ mia madre spense la televisione, e io piansi a dirotto”.
E dal secondo, che coi i suoi mimodrammi ha emozionato le platee di tutto il mondo?
“Noi abbiamo copiato Marceau, abbiamo studiato la sua tecnica nell’arte del movimento espressivo. Gigantesca la forza del suo silenzio. La pantomima che abbiamo appreso con le miniature del grande mimo francese, è per noi la più alta delle arti”.
A proposito, per mezzo di commedia e tragedia, riesce a tirare fuori il bambino interiore. È un modo di raccontare la natura umana?
“Il tempo non ha alcun potere sulle persone ed è per questo che noi ci appelliamo a quel bambino, che è dentro a ogni persona che viene a vederci”.
Parliamo di sfumature: umorismo o ironia?
“Non amo l’ironia, poiché spesso è cattiva. Il poeta russo Alexandr Block la chiamava addirittura malattia”.
Perché preferisce parlare di ‘miracoli’ e non di ‘magia’?
“Il miracolo è quello che ti aspetti sempre e allo stesso tempo è tutto quello che ci circonda. Insomma, tutto il nostro mondo è un miracolo”.
Cosa rappresenta per lei l’Italia?
“Uno dei Paesi più sorprendenti, magici ed amati al mondo, bellissimo in tutte le sue manifestazioni. È davvero complicato esprimere questo amore. Da noi ci sono sempre grandi lotte per chi deve partecipare al tour italiano”.
Quando è nato lo spettacolo?
“Sono stato per alcuni anni il direttore di un teatro da me fondato, ma nel momento in cui ho deciso di lasciare quel ruolo per occuparmi del mio clown, del mio personaggio, sono riuscito ad andare oltre. Lui doveva essere l’eroe principale, serviva uno spettacolo in cui creare il mondo di quel clown, mentre prima il mio tempo era assorbito totalmente a risolvere ogni problema della compagnia. Il mondo del mio spettacolo ha poi cominciato a crescere, con al centro il mio personaggio. Così sono apparsi nuovi abitanti, nuove collisioni e nuovi soggetti”.
C’è un momento che preferisce?
“No, amo ogni istante, perché è la mia creatura, il mio bimbo. E piace perché si rivolge ai sentimenti più chiari e semplici di ognuno di noi: l’amore, l’offesa, l’amicizia e la solitudine. Chi ha provato queste emozioni, ovvero tutti quanti, le riesce a leggere nello spettacolo. Una rappresentazione viva, dove molto nasce nel qui e nell’ora, in cui tanto spazio viene occupato dalle improvvisazioni”.
Ma da dove nasce l’esigenza di far evolvere la figura del clown?
“La clownerie del circo che ho visto nelle scuole, salvo poche eccezioni, non mi è mai piaciuta molto. Da qui la voglia di far rinascere, oltre ai trucchi, le tecniche e i costumi che utilizzavano i vecchi clown, ma anche lo spirito che permeava quei circhi”.
Il suo si può chiamare ‘teatro totale’?
“Pura questione di terminologia, io la chiamerei più una torta a strati che diverte grandi e piccini, esperti e meno esperti”.
Infine, la neve quale elemento fondamentale per lei. Come mai?
“È un elemento stupendo e altrettanto pericoloso, di fronte al quale l’uomo è impotente. Quando ero bambino e mia mamma usciva in inverno per recarsi a lavorare, avevo sempre paura che, per colpa dei cumuli di neve, non sarebbe potuta tornare. Però, con lei, nella neve e con la neve, amavamo giocare insieme ed era fantastico”.