MASSIMO MERLUZZI
Cronaca

"All’alba ho visto l’inferno". Nino nel fango del Vajont. Il ricordo dell’ex carabiniere

Nespolo, residente a Luni, era in servizio di soccorso quando crollò il Monte Toc "Un viaggio infinito in motocicletta nella notte senza sapere dove stessi andando".

Nespolo, residente a Luni, era in servizio di soccorso quando crollò il Monte Toc "Un viaggio infinito in motocicletta nella notte senza sapere dove stessi andando".

Nespolo, residente a Luni, era in servizio di soccorso quando crollò il Monte Toc "Un viaggio infinito in motocicletta nella notte senza sapere dove stessi andando".

Ci sono esperienze che restano chiuse nel cassetto della memoria, custodite con cura e una sorta di pudore quasi a volerle proteggere. Quella storia lo accompagna da 60 anni e soltanto una casualità ha spinto Nino Nespolo, classe 1940, a ricordare la sua drammatica esperienza come carabiniere e soccorritore durante le drammatiche giornate del Vajont, una delle più gravi tragedie della storia del Paese accaduta il 9 ottobre 1963. La scintilla che lo ha portato a raccontare la sua storia è arrivata leggendo il nostro giornale qualche giorno fa, quando abbiamo raccontato la storia di un ex vigile del fuoco impegnato nelle operazioni di soccorso nelle giornate successive il crollo di una parte del Monte Toc che ha fatto esondare l’acqua della diga sottostante distruggendo paesi e valli. E’ rimasto sorpreso, come dargli torto, della presenza contemporanea di due soccorritori entrambi residenti a Luni. Nino Nespolo quell’esperienza che lo ha profondamente segnato l’aveva raccontata alla moglie Nicla e ai figli Francesca e Diego. Quest’ultimo, altra ironia della sorte, è ingegnere e durante il suo percorso di laurea all’Università di Pisa ha studiato proprio il caso della diga del Vajont. Quell’esperienza umanamente forte Nino Nespolo l’ha vissuta a pochi giorni dal congedo dall’Arma dei carabinieri dopo tre anni di servizio. I suoi ricordi sono ancora chiari e precisi. Per il suo impegno nel 1964 ha ricevuto la medaglia di bronzo al valore civile e un attestato di merito.

"Quel giorno – spiega – ero partito da Candide in provincia di Belluno dove prestavo servizio per prendere alcune disposizioni dal comando di Bolzano. Un viaggio con la motocicletta di servizio, con quelle temperature già rigide e mica con l’abbigliamento di adesso. Ero appena rientrato e mi hanno comunicato di andare a Longarone".

Il motivo della trasferta?

"Nessuna informazione precisa. Dicevano che era accaduto qualcosa. Ma quello era il periodo degli attentati ai tralicci e pensavamo fosse legato a quello".

E come è andato?

"Di nuovo in sella alla moto. Un viaggio di 96 chilometri senza conoscere neppure la strada. A un certo punto a Pieve di Cadore ero quasi congelato e mi sono fermato sul ciglio della strada. Mi ha caricato una ambulanza e quando siamo arrivati a destinazione pensavano fossi un ferito".

Qual’è stato il primo impatto?

"Il buio assoluto e le grida. Ma non si capiva nulla. Soltanto alle prime ore del mattino ci siamo trovati davanti a un inferno".

Cosa ricorda?

"Il campanile della chiesa. L’unica cosa rimasta in piedi. Il resto è stato spazzato via dall’acqua".

Che compito aveva?

"Purtroppo quello di impedire gli ingressi dei parenti delle vittime che stavano arrivando a chiedere informazioni. C’era il caos di soccorsi e non potevano essere intralciati. Inoltre insieme ai colleghi dovevamo accertarsi non ci fossero sciacalli in giro pronti a rubare quel poco che era rimasto".

Gli occhi azzurri di Nino diventato ancor più limpidi di commozione quando il ricordo sfiora le operazioni di ricerca dei corpi.

"Li abbiamo trovati ovunque, affioravano dal fango. Quel monte d’acqua non ha lasciato scampo a nessuno. Eppure c’erano le avvisaglie e si sapeva che la situazione era critica. Non c’è stata la tempestività di intervento e così siamo a raccontare una tragedia".

Quanto tempo è rimasto in quell’inferno?

"Quattro giorni. Avevamo perso tutti la cognizione del tempo".

E poi?

"Hanno mandato il mio sostituto e sono rientrato alla base. Poi a novembre ho ottenuto il congedo dall’Arma. Anche se in realtà i carabinieri mi hanno richiamato qualche anno dopo destinandomi a Bologna. Ma ormai avevo il mio lavoro in Termomeccanica e ho rinunciato".

E’ tornato in quei posti?

"Nel 1971 per avere idea di come fosse cambiato. Ho riconosciuto soltanto il campanile".

Anche il figlio Diego, ex assessore comunale a Luni, ingegnere ha studiato l’argomento nel corso degli studi universitari. "E’ stato un tema affrontato – ricorda Diego – proprio perchè è ermersa la serie di errori di calcolo sul quantitativo di materiale in distacco dal monte Toc. Era previsto un crollo ma non di quelle dimensioni. Per questo resta una delle più assurde tragedie del Paese".

Massimo Merluzzi