La Spezia, 13 gennaio 2025 – Per decenni ha rappresentato una delle risposte alle necessità di lavoro e occupazione di questa provincia. Ma per quella che fu la principale centrale elettrica a carbone d’Italia e la seconda in Europa, e che celava all’interno dei suoi ingranaggi anche le fibre di quel killer silenzioso che è l’amianto, il rischio di pagare un conto salatissimo in termini sociali e umani è altissimo. Due sentenze, emesse pochi giorni fa dal Tribunale civile della Spezia, tracciano un quadro netto, su quella che è stata la presenza silenziosa ma mortale dell’eternit all’interno di una centrale che si appresta a essere smantellata per lasciare posto ad altre iniziative imprenditoriali.
La prima sentenza, pubblicata solo pochi giorni fa, ha visto la moglie e le figlie di un ex operaio della centrale Enel di Vallegrande morto a causa di un mesotelioma pleurico, ottenere dal tribunale cittadino un risarcimento di oltre 750mila euro. La famiglia, assistita dall’avvocato Andrea Frau, ha citato in giudizio Enel Produzione, chiedendo che fosse riconosciuta non solo la correlazione tra la malattia e l’attività lavorativa dell’uomo, ma anche la responsabilità dell’azienda in relazione agli obblighi di sicurezza sul posto di lavoro in materia di eliminazione e riduzione del rischio polveri. L’uomo era inquadrato come Oic, Operatore impianto combustibile. Il perito incaricato dal Tribunale nell’ambito della consulenza tecnica d’ufficio, ha riconosciuto non solo la presenza di amianto nella centrale, ma anche l’esposizione professionale specifica dell’operaio poi deceduto a causa del mesotelioma. “Sono emerse sia la perdurante presenza di amianto in centrale alla Spezia fino agli anni Duemila, sia l’esposizione del defunto, non solo perché lavorava in quell’ambiente ma anche perché, sia pure per piccole manutenzioni, egli aveva modo di intervenire su parti o apparati coibentati e non risulta che lo facesse nell’osservanza delle prescrizioni evidenziate dall’azienda” si legge nella sentenza del giudice Giampiero Panico.
Nel documento si evidenzia come “le conclusioni peritali consentono di ritenere provata la derivazione della malattia dall’attività lavorativa, la cui esposizione a fibre di amianto va considerata non solo sussistente ma anche più elevata di quella comune” e che sottolinea che “va affermata la responsabilità datoriale e sussiste il diritto degli eredi al risarcimento del danno”.
Il Tribunale ha condannato Enel Produzione non solo al pagamento di un risarcimento complessivo di 750mila euro alla vedova e alle figlie, ma anche delle spese legali e quelle della ctu. Significativa anche la sentenza, vergata di recente dallo stesso giudice Panico,sulla causa mossa dalla vedova e dalle figlie di un altro ex operaio della centrale Enel – morto la scorsa primavera a causa di un mesotelioma – nei confronti dell’Inail. L’uomo, per quasi quaranta anni è stato saldatore e carpentiere della centrale. Anche in questo caso, il giudice del tribunale spezzino, al termine dell’iter di testimonianze ed esami peritali che hanno accertato la prova dell’esposizione a rischio e riconosciuto che la patologia dell’uomo fosse “di origine professionale”, ha condannato l’Inail a liquidare a favore delle eredi i relativi ratei maturati e non riscossi dall’uomo in relazione alla rendita per la patologia. Sentenza, quest’ultima, che apre ora il campo a una possibile causa di risarcimento che la famiglia potrebbe intentare nei confronti di Enel.