CORRADO RICCI
Cronaca

Amianto, mille morti senza colpevoli. Assolti otto ex ammiragli della Marina

La sentenza nega il legame tra esposizione sulle navi e malattia

Esplode la protesta delle vittime da amianto (Ansa)

Padova, 15 gennaio 2019 - Carta straccia, o quasi, per la giustizia penale. Sono le migliaia di documenti raccolti faticosamente negli anni dalla polizia giudiziaria per sostenere la responsabilità degli ex ammiragli della Marina Militare rinviati giudizio per la morte di centinaia di marinai a causa dell’esposizione all’amianto sulle navi grigie. Gli atti, dopo il vaglio dibattimentale, non si sono rivelati sufficienti a dimostrare il nesso causale esposizione-patologia là dove il reato di omicidio colposo contestato agli imputati non era nel frattempo caduto in prescrizione. Da una parte gli effetti del tempo (con rinuncia dello Stato a fare giustizia), dall’altra le conclusioni di merito del giudice Chiara Ilaria Bitozzi hanno risolto a favore degli ex ammiragli il processo-bis per le morti da amianto: tutti assolti.

Quando il giudice leggeva il dispositivo, nell’aula del Tribunale di Padova, la platea è stata attraversata da un moto d’ira: "Vergogna, vergogna", "Millecento morti uccisi per la seconda volta". Parole pronunciate dal fronte dei familiari delle vittime, costituitisi parte civile con l’assistenza di varie associazioni dedicate. Alcuni sono stati identificati dai carabinieri, compreso lo spezzino Pietro Serarcangeli: "Continuerò a dirlo fin che campo", dice nel viaggio di ritorno a casa.

Tirano l’agognato sospiro di sollievo otto ammiragli in pensione - ex capi della squadra navale, della sanità marittima, della direzione navale per gli armamenti - rimasti sulla graticola per dieci anni, anche dopo il primo processo risoltosi positivamente per loro, due anni fa. Loro che avrebbero potuto intervenire ma che, sul piano delle risorse messe a disposizione dalla politica per fronteggiare l’emergenza-amianto, non disponevano di quanto era necessario. Lo aveva riconosciuto, alla distanza, il pm Sergio Dini, chiedendo l’assoluzione con la formula "perché il fatto non costituisce reato".

Il giudice è andato oltre: "Il fatto non sussiste". E si è preso novanta giorni per spiegarlo. Familiari delle vittime deluse. Uniche strette di mano e abbracci verso l’investigatore che, solitario, aveva sviluppato l’inchiesta sul campo, fornendo alla procura gli indizi necessari per istruire il processo. Ma le condanna si materializzano con le prove. in aula. E per il giudice non sono emerse o erano insufficienti.