"L’esplosione della pandemia, due anni fa, aveva cambiato dall’oggi al domani la nostra professione: studi deserti, quasi un senso di impotenza da parte nostra, con i pazienti disorientati e impauriti di fronte a quello che stava accadendo. Ora è di nuovo cambiato tutto. Pensavamo che l’esperienza fatta potesse servire a disegnare un nuovo sistema capace di rispondere efficacemente alle nuove sfide, invece il quadro non è affatto migliorato. Anzi". C’è sconcerto e disillusione nelle parole di Giada Bardelli, 48 anni, dottore "di prima linea", 1300 mutuati da gestire, costretta a misurarsi, come tanti suoi colleghi, con una situazione che rischia di diventare ingestibile. Colpa, dice, delle troppe incombenze e responsabilità che hanno stravolto la natura della professione. E di una burocrazia che si è aggiunta alle normali funzioni senza incidere sul carico di lavoro proprio di un medico.
Perché è successo, dottoressa Bardelli?
"Le cause sono numerose, la prima credo sia l’eccesso di informatizzazione, con il medico che deve pensare in primo luogo a gestire le centinaia di richieste che ogni giorno ci arrivano via mail e whatsapp. I nostri pazienti pensano di poter risolvere così molti dei loro problemi, siano essi la richiesta di una prescrizione o di un certificato e si aspettano che la risposta sia immediata. Se la ricetta non arriva o il quesito, magari corredato di fotografia, non trova risposta immediata, ci subissano di telefonate, senza sapere che per noi le incombenze si sono moltiplicate e non ci consentono, in sostanza, di fare il medico. Tutti noi facciamo il possibile, mi creda, ma la situazione si è fatta difficilissima".
Ma quali sono queste nuove incombenze?
"A parte la necessità di rispondere al telefono, che assorbe buona parte del nostro tempo, c’è per esempio il problema dei tamponi, che in molti gestiscono da soli o rivolgendosi alla farmacia, ma poi al medico si chiedono certificazioni, indispensabili per altre esigenze. E non c’è solo questo, basti pensare ai piani terapeutici che prima toccavano agli specialisti e che ora passano ai medici di medicina generale, sottaendo tempo prezioso alle visite e al rapporto con il paziente. Eppoi i problemi con il sistema informatico: se il computer si ferma o rallenta, come spesso succede, tutto va in tilt".
La conseguenza più grave in tutto questo quale è?
"Può succedere che per stare dietro agli adempimenti burocratici e alle richieste seriali via whatsapp, sfuggano patologie e casi clinici importanti".
I pazienti sono però tornati negli ambulatori, dopo la fase acuta della pandemia. Come vi regolate?
"Non siamo certo tornati alla situazione pre Covid, ora le visite avvengono solo su appuntamento. Non è più pensabile trasformare uno studio medico in un porto di mare, e anche i pazienti si stanno abituando".
Come si regola con le tutele anti Covid per chi viene in studio?
"La mascherina resta imprescindibile, molti arrivano senza, in quel caso siamo noi a fornirla". Si dice che il territorio non sia sufficientemente presidiato dai medici di medicina generale, spesso difficili da reperire in caso di pensionamenti o dimissioni.
"Il problema esiste, non c’è dubbio. Sempre meno giovani scelgono questa professione, considerata gravosa e frustrante. I neo laureati in genere cercano di fare altro, magari tentando di entrare in ospedale, per quanto anche lì la situazione sia tutt’altro che rosea, tanto è vero che in molti scelgono di abbandonare la struttura pubblica. Insomma il malessere è generale. Sostituire un medico di medicina generale in caso di ferie, per esempio, è impresa ardua. A parte il caso di studi associati dove le coperture sono più facili, di fatto succede che le ferie ognuno di noi le stabilisce in base alle esigenze e alla disponibilità del sostituto, quando si riesce a trovarlo".
Franco Antola