Riccò del Golfo (La Spezia), 26 gennaio 2025 – Meraviglia per gli occhi, ossigeno rigenerante per lo spirito. E poco importa se c’è da camminare per carrugi stretti e sentieri scoscesi. La bellezza va guadagnata, passo dopo passo, in questo piccolo microcosmo alle spalle delle Cinque Terre che era ormai diventato fantasma, ma che ha saputo rinascere facendo leva su un recuperato spirito di comunità, con un occhio al tesoro di storia e passato, e puntando a un futuro dove natura e sostenibilità vanno a braccetto con turismo e arte. A Castè, piccolo borgo collinare medievale nato dalle pietre di quelle che furono le mura del vicino castello di Carpena – distrutto dai genovesi nel 1412 – un manipolo di residenti ha dato vita a un’esperienza che oggi attira gente perfino da New York.
“Era un borgo fantasma, abitato da un pochissimi anziani, gran parte delle case storiche stavano andando ormai in rovina. Se oggi vengono addirittura dagli Stati Uniti per visitarci, è perché quel progetto di comunità fatto di turismo sostenibile, arte e natura si sta rivelando vincente” dice Serenella Messina, milanese che si è innamorata di Castè a tal punto da trasferirsi nel borgo, avviare la propria attività ricettiva e creare un’associazione che è anima e fulcro di un fenomeno che strizza l’occhio al turismo consapevole e al contempo tiene ben salde le radici di un passato ricco di storia.
Venticinque abitanti, una ricettività diffusa da settanta posti letto, per un borgo che d’estate si trasforma anche grazie alle molteplici iniziative artistiche che trovano il loro naturale sfogo nella piazzetta con vista sulle Apuane situata in Corte Paganini – prima struttura a credere a Castè in chiave turistica – laddove è presente anche un antico forno che spesso accende la fiamma della comunità, mettendo residenti e turisti attorno allo stesso tavolo. Una seconda vita, quella del borgo riccolese, fatta anche di natura e biodiversità.
Il suggestivo sentiero 501 del Cai, noto come via del sale – utilizzato un tempo dai mercanti per commerciare i prodotti tra entroterra e riviera – porta dritti alle Cinque terre, mentre sul sentiero ad anello che collega Castè agli altri borghi, gli occhi non possono che cadere su quel ponte di origine medievale, custodito con grande cura anche dagli abitanti. La stessa cura con cui viene ’protetta’ da occhi indiscreti e propositi poco nobili la piccola grotta nella quale vive una folta colonia di geotritoni, una specie protetta dalla normativa europea e considerata a rischio estinzione dall’Unione Internazionale per la conservazione della natura. “Ogni tanto portiamo i bambini che soggiornano nel borgo a visitare la grotta, ma non vogliamo che diventi un’attrazione” dicono i residenti, che tra i tesori che custodiscono più gelosamente non mancano di inserire anche la storica cappelletta, tuttora consacrata, eretta alla fine del Settecento: un pavimento che sembra inciso da Escher, al muro un dipinto su lavagna della Madonna.
“Ci teniamo molto. Purtroppo anni fa venne rubata una coppia di candelabri, e da allora stiamo molto attenti” dicono gli abitanti, che dopo aver recuperato dall’abbandono un intero paese, ora puntano una nuova sfida: rilanciare l’agricoltura e riprendersi un altro pezzo di storia, quello che vedeva Castè al centro di una delle principali produzioni di vino. Qui, secoli fa, tutte le terre che circondano il borgo erano coltivate con vigneti dall’uva rinomata, i caruggi ribollivano di cantine in attività. Oggi, in quei campi che cingono quel borgo arroccato sulla collina non c’è neppure un chicco d’uva: ma per chi in venti anni è riuscito a strappare all’oblio un intero paese, potrebbe essere l’ennesima sfida vinta.