Giovanni Pagani, allievo ufficiale, dopo l’8 settembre raggiunse Brugnato e nel giro di pochi mesi iniziò la sua vita di partigiano, aderendo al gruppo che darà vita alla Colonna Giustizia e Libertà. Per il suo coraggio e le sue doti, fu nominato comandante della IV compagnia. Pagani era il miglior sabotatore della zona, a cui venivano affidati i compiti più rischiosi. Brugnato, controllata dai partigiani, era il fronte più caldo: nella vicina Borghetto c’erano fascisti e nazisti. Le azioni del suo gruppo furono innumerevoli: in particolare atti di sabotaggio lungo la via Aurelia, tratto tra Bocca Pignone e Borghetto Vara. Pagani e alcuni suoi compagni furono tra le vittime del rastrellamento del 20 gennaio 1945, sia pure qualche tempo dopo: il 3 febbraio e il 5 marzo. Ecco il racconto del comandante Nello Quartieri “Italiano”: "Il 20 gennaio 1945, con pochi dei suoi uomini, Giovanni Pagani tentò di fermare le grosse colonne nemiche che dall’Aurelia risalivano verso la regione dello Zignago. A tarda sera raggiungeva con un nucleo di compagni il paese di Vezzola; dovette ripartirne poco dopo perché il nemico aveva raggiunto Serò. Pensò di poter trovare rifugio e riposo in una grotta sulle falde del monte Dragnone e vi rimase fino al giorno 23, quando una vedetta tedesca, avendo scorto dei movimenti, informò un pattuglione che circondò il rifugio. All’intimazione di resa Pagani sapeva di poter contare fino all’ultimo sui suoi partigiani, ma sapeva anche che, accettando il combattimento, avrebbe coinvolto nel supremo sacrificio anche i pochi civili che si erano aggregati al suo gruppo. Così preferì arrendersi e scese dai monti ormai prigioniero di quelle brigate nere che lo sapevano loro giurato nemico". La resa venne concordata dopo aver ottenuto la garanzia di essere trattati come prigionieri di guerra e della concessione della libertà ai civili. La trattativa fu facilitata dal fatto che un componente del gruppo, Herman Bauer, probabilmente un disertore, parlava il tedesco. Ma i fascisti reclamarono i prigionieri e non rispettarono i patti stabiliti. I partigiani furono trascinati in giro nelle strade di Spezia, rinchiusi nel carcere dell’ex 21° e torturati. Pagani fu fucilato insieme al suo compagno Ezio Grandis alla Chiappa, vicino alle loro abitazioni, il 3 febbraio. Grandis, classe 1923, studente a Roma dell’Accademia di Arte drammatica e compagno di Vittorio Gassman e di Lea Padovani, era entrato G. L. in Val di Vara, al seguito del padre Giuseppe “Gisdippe”, dirigente del Partito d’Azione. Un altro membro del gruppo, Giuseppe Da Pozzo, classe 1917, geometra, tenente dell’Esercito rientrato a Spezia dopo l’8 settembre, era stato partigiano con le Sap di Renato Mazzolani per poi salire ai monti, sempre con G.L. Da Pozzo fu ucciso, insieme a Luigi Zebra (21enne spezzino partigiano) il 5 marzo a Monterosso, dove era sfollata la moglie, in attesa di un bambino. Tutte le fucilazioni furono effettuate dai fascisti spezzini. (Giorgio Pagano, copresidente del Comitato unitario della Resistenza)
CronacaCoraggio e altruismo. La resa di Giovanni Pagani per salvare la vita ai civili