La Spezia, 5 febbraio 2020 - Negozi di cineserie deserti come se fosse il primo dell’anno. Ristoranti ‘all you can eat’ fino a ieri presi d’assalto da orde di studenti affamati e oggi tristemente abbandonati ai loro arredi zen. Ora la fobia da coronavirus sbarca anche nelle corsie d’ospedale, il luogo dove chiunque dovrebbe sentirsi protetto e al sicuro.
Eppure, a quanto pare, la paura del contagio, viscerale tanto quanto infondata, non risparmia neppure il pronto soccorso pediatrico. L’episodio che raccontiamo è accaduto nella tarda serata di lunedì, nel padiglione che ospita il reparto di pediatria, preso d’assalto da bambini di ogni età, febbricitanti e indeboliti dall’influenza, questa sì particolarmente virulenta. Una mamma è seduta in sala d’attesa: aspetta, fiduciosa, che la dottoressa la chiami per fare accertamenti sul suo bambino. Accanto a lei, altri piccoli pazienti con i loro genitori, gente di Spezia, ma anche dell’Est Europa.
Improvvisamente una donna cinese si affaccia sulla porta per parlare con un’infermiera del reparto. Tiene per la mano un ragazzino che avrà avuto a occhio e croce una decina d’anni. «Sta male da diversi giorni – dice –. E’ raffreddato e ha febbre a 39 e mezzo». Al bambino viene data una mascherina da indossare, esattamente come era stato fatto con tutti gli altri piccoli ‘ospiti’ della sala d’aspetto. «Mamma e figlio si sono seduti – racconta la donna che ci ha riferito l’episodio e che preferisce mantenere l’anonimato a garanzia della privacy del suo bambino –. E in men che non si dica la sala si è letteralmente svuotata. Davanti a me avevo decine di facce atterrite. Si sono nascosti nella stanza accanto, destinata agli adulti che aspettano le cure odontoiatriche, e chi non ha trovato posto a sedere è tornato per agguantare una sedia e si è sistemato nel corridoio: insomma, c’è stato chi ha preferito restare davanti alla porta dell’ascensore, piuttosto che condividere lo spazio con la famiglia cinese. Una cosa assurda. Io sono rimasta seduta dov’ero, insieme a mio figlio. Ho anche scambiato qualche parola con la donna. Ovviamente la salute del mio bambino viene prima di tutto, ma ho pensato, e credo di essere nel giusto, che qualora lo staff medico e infermieristico avesse ravvisato potenziali rischi, avrebbe preso tutte le precauzioni del caso. Così non è stato, quindi eravamo al sicuro. Chi ragiona diversamente dimostra tanta superficialità».
Intanto, nel Comune della Val di Vara dove lunedì molte famiglie avevano minacciato di non portare i figli a scuola a seguito della notizia del ritorno, direttamente dalla Cina, del padre di una giovane studentessa iscritta alla scuola del paese, ieri la diffidenza ha lasciato spazio alla fiducia verso le istituzioni. Quasi tutti gli studenti della scuola – fatta eccezione per alcuni, assenti a causa dei malanni di stagione – si sono regolarmente presentati al suono della prima campanella. Nel frattempo, anche in Regione il tema degli studenti di ritorno dalla Cina è diventato di stretta attualità. Il consigliere della Lega Nord, Franco Senarega, ha presentato un ordine del giorno che impegna la giunta ad attivarsi presso il Governo «perché venga emanata una nuova circolare che precisi le modalità di gestione degli alunni e dei docenti, di qualunque nazionalità, di ritorno dalle aree affette dal coronavirus in Cina. Molte famiglie liguri e il personale scolastico, a causa della genericità delle indicazioni contenute nella circolare ministeriale, non si sentono sufficientemente sereni».