
Test per il nuovo coronavirus
La Spezia, 20 marzo 2020 - Screening di massa per rilevare i casi di contagio da Sars Cov 2? La Regione Toscana ha scelto questa linea, annunciando l’acquisto di 500mila test seriologici (per la ricerca di anticorpi nel sangue). Saranno fatti innanzitutto sui dipendenti della sanità pubblica (60mila tra medici, infermieri e altri) e di quella privata. I 400mila test rimanenti saranno eseguiti sulla popolazione, su richiesta di medici di famiglia e pediatri. Chi risulterà positivo sarà posto in quarantena.
Secondo Regione Liguria, invece, le prorità sono altre e l’opzione non è al momento in campo. E’ uno degli elementi emersi dall’intervista con il dottor Filippo Ansaldi, epidemiologo, direttore della prevenzione e programmazione di Alisa e capo della task force ligure per l’emergenza coronavirus. «La nostra scelta – spiega –, scritta nell’aggiornamento del 18 marzo delle indicazioni per l’esecuzione dei tamponi nasofaringei, è, per semplificare, che vada sottoposto a tampone chiunque tossisca in ospedale o nel momento in cui sta per entrare in ospedale, qualunque sia la causa del ricovero anche una semplice frattura. Sia egli paziente o operatore sanitario».
Niente screening sierologico di massa come in Toscana?
«Attualmente per la diagnostica il test di riferimento è quello molecolare, il tampone. Il test sierologico ha un periodo finestra (dal momento dell’infezione a quello in cui il test può rilevare la positività) di almeno 7 giorni. E’ il tempo necessario perché dopo la montata virale ci sia una risposta anticorpale. Quindi non posso utilizzare il test sierologico per la diagnostica. Se non per particolari tipi di pazienti, ad esempio il paziente in Rsa che ha una sintomatolo ripetuta da 15 giorni. Con questo test io dico che la persona ha avuto un contatto con il virus».
Fare ricerca di anticorpi può avere un senso dal punto di vista epidemiologico ma non in termini di contenimento del virus?
«Il contenimento in Regione liguria, e anche in Toscana, temo che non possa più avvenire. Ormai viaggiamo su un numero di casi tale che parlare di contenimento mi sembra inapproppriato. Al massimo possiamo parlare di mitigazione».
Cosa significa ’mitigare’ l’epidemia?
«Parliamo più propriamente di onda epidemica: mitigare significa tentare di abbassare l’altezza e allungarne la durata». Anche la Liguria ha un suo modello epidemiologico di Regione, cosa dicono i numeri? «Che siamo in piena fase di ascesa. E’ molto difficile capire dove ci sarà il flesso o dove raggiungeremo il punto più elevato. Ho una previsione a 3 - 4 giorni e poi una serie di panorami a seconda di quanto saranno state efficaci le misure di distanza sociale. Non le posso dire che avremo il picco il 28 di marzo o il 1° aprile perché francamente non lo so».
In Liguria siamo, a ieri, a 963 diagnosticati e 91 morti. Questi dati cosa ci dicono? Quale è la direzione dei prossimi giorni?
«Vedo, prevedo e spero è una attività che mi piace poco. Abbiamo una incertezza sull’efficacia delle misure di distanza sociale in atto, è difficile capire quanto i liguri, gli italiani si stanno comportando bene. Posso dire che sicuramente fino al weekend avremo un quadro in peggioramento, perché non avremo un effetto significativo della distanza sociale sui casi gravi».
Nessuna previsione netta, dunque?
«Quello su cui ci stiamo concentrando, ed è importante per il sistema sanitario, sono i posti letto ospedalieri di terapia intensiva e a media intensità occupati. E’ questo il dato che interessa per fare il management in Regione. Probabilmente gli infetti sono già meno rispetto ai nuovi casi che vedevamo in precedenza ma abbiamo l’onda lunga che porta ancora casi in terapia intensiva e in media intensità».
Dal Covid si possono guarire anche le persone per cui si deve ricorrere al ricovero. Ma i tempi di degenza sembrano essere lunghi.
«Si, sono mediamente lunghi, abbiamo tempi di permanenza anche di 17 giorni, che era quanto avevamo ipotizzato».
Il che rischia di creare un problema, nel caso l’epidemia si allarghi.
«L’ipotesi di lavoro che se mettiamo in campo in modo diffuso ed efficace misure di distanza sociale potrebbe avvenire quello che è successo nello Hubei in Cina dove, grazie al rispetto dimisure di quarantena, oggi non abbiamo praticamente più casi. E non è che nello Hubei si sono messi a fare tamponi a tutti. Quando erano in picco hanno cercato di salvare la popolazione, quindi la diagnosi l’hanno fatta fino a un certo punto virologica per poi passare a una diagnosi clinica, con la Tac e il quadro clinico».
Quindi meglio concentrarsi sui malati, soprattutto quelli gravi, che non fare screening?
«Abbiamo sviluppato sistemi anche per sapere quanti sono gli infetti, ci mancherebbe altro, ma il nostro obbiettivo è ottimizzare la risposta di sistema che deve essere plastica ed efficace per evitare crash. Per noi la priorità è il paziente».
Non è stata l’Organizzazione mondiale della sanità a suggerire di fare test, test, test?
«C’è un fraintendimento. L’Oms parla a un mondo che va dall’Angola alla Svezia. Purtroppo l’Europa è epicentro della pandemia e L’Italia del Nord è l’epicentro del quadro europeo. Ormai ci troviamo in un quadro di trasmissione locale della malattia. L’Oms dice che è utile fare il tampone per tracciare la catena epidemica ed è quello che abbiamo fatto nella prima fase, per il contenimento. Ormai siamo in una fase di mitigazione e soprattutto di potenziare la risposta di sistema».
Regione Liguria ha fatto 3.348 tamponi a ieri, meno di Regioni più piccole. Ma ha un rapporto tra tamponi fatti e positività riscontrate molto più alto di altre Regioni. i vostri tamponi sembrano essere più specifici.
«Corretto. Siamo in una situazione peculiare. Il cratere dell’epidemia, Lodi, è a 50 minuti di viaggio da Genova. E noi abbiamo un flusso turistico enorme dalla lombardia. La prima parte della nostra attività è stata quella di descrivere, circondare e rendere inefficace i cluster epidemici che si sono sviluppati a Laigueglia, Alassio e Finale. Abbiamo seguito esattamente quello che dice l’Oms: tanti tamponi, tante attività di contenimento e una prima fase di mitigazione. Oggi però abbiamo tanti di quei casi in Italia del Nord, c’è una trasmissione locale della malattia, per cui fare test a tappeto può avere un significato se vogliamo descrivere il quadro epidemiologico ma non serve dal punto di vista del tracciare i contagi, che è quello che dice l’Oms. Magari in toscana vogliono fare uno studio, una valutazione ulteriore. Ma la posizione che ha Regione Liguria è quella di Iss e Ministero».
In questa fase un campionamento a tappeto ha poco senso?
«Penalizzerebbe moltissmo la diagnostca di laboratorio, perché la priorità la dobbiamo dare alla risposta per i pazienti. Dovbbbiamo far sì che non ci siano ritardi significativi, motivo per cui stiamo aumentando il numero di laboratori che possono essere accreditati per analizare i tamponi. Tra i quali anche Asl 5».
All’arrivo dell’epidemia in Italia, ci sono state contrastanti valutazioni anche tra epidemiologi e virologi. Lei la definirebbe, come qualcuno a fatto, poco più di un’influenza?
«Ho dormito cinque ore e la ringrazio perché mi ha strappato un sorriso. E’ un riso molto amaro. Non è un raffreddore, ha una sua letalità. Abbiamo 113 pazienti liguri i terapia intensiva. No, non è come un raffreddore, è un virus che dà una polmonite interstiziale che a sua volta dà una grave insufficienza respiratoria e per avere una prognosi positiva spesso il paziente deve finire in terapia intensiva. E’ una malattia seria».