MARCO MAGI
Cronaca

Cremolini, note oltre la natura: "Senza governare la tecnologia un musicista di oggi è mutilato"

Il compositore spezzino ha realizzato colonne sonore per almeno 150 documentari "La grande occasione? Aveva ragione la Spaak: arriva quando è il momento giusto".

Il compositore spezzino ha realizzato colonne sonore per almeno 150 documentari "La grande occasione? Aveva ragione la Spaak: arriva quando è il momento giusto".

Il compositore spezzino ha realizzato colonne sonore per almeno 150 documentari "La grande occasione? Aveva ragione la Spaak: arriva quando è il momento giusto".

Nell’ultimo decennio, il musicista e compositore spezzino Matteo Cremolini, ha realizzato la colonna sonora per almeno 150 documentari trasmessi sui canali televisivi nazionali e internazionali (Rai 3, Rai 5, La7, Ndr e altri), oltre che sulle piattaforme streaming (Netflix e varie), per registi quali Valter Torri, Claudia Pampinella, Fabio Toncelli, Eugenio Manghi e Eloise Barbieri. Naturalistici, antropologici, storici e artistici, ne ha affrontati di ogni genere. Sposato con Francesca, due figli di 15 e 8 anni, Tommaso e Niccolò, ha cominciato a suonare la chitarra alle elementari. Poi alle medie la Pellico, nella sezione musicale, alle cui selezioni iniziali per lo strumento, però, fu scartato. Ma il professor Odero accettò un alunno in più e non sbagliò: dopo tre mesi Matteo rappresentò l’istituto di fronte alla delegazione del Conservatorio di Parma. Poi, il Conservatorio Puccini, dove si è diplomato in tempi brevi col massimo dei voti, nonostante un brutto incidente durante il servizio militare.

Come è nato il noto Trio Ricercare con cui ha girato il mondo in gioventù?

"Nel periodo degli studi al Puccini, negli anni Novanta, con due coetanei chitarristi abbiamo costituito una formazione cameristica, vincendo diversi concorsi. Con Davide D’Ambrosio eravamo amici dalle elementari, Marco Piccinini l’ho conosciuto al Conservatorio, quando studiavo composizione col maestro Antonio Di Pofi, che all’epoca stava scrivendo le musiche del film ‘La stazione’ di Sergio Rubini".

Un primo approccio alla musica ‘applicata’?

"Ho scoperto questo aspetto e mi piaceva, però è rimasto sospeso per proporre, con l’ensemble, un repertorio fra musica originale per tre chitarre e diverse prime esecuzioni di nomi celebri come Angelo Gilardino e Luis Bacalov".

La ‘grande occasione’ quando è arrivata?

"Tutto è figlio delle circostanze, me l’ha insegnato Catherine Spaak. Mi diceva: ‘Il più bravo? No Matteo, serve il momento giusto. Anch’io non ero la migliore quando mi si aprirono le porte del mondo dello spettacolo, ma in quel tempo nel cinema volevano donne carine e con il seno piccolo. Ero perfetta’. Con lei e per lei ho composto contributi originali e prodotto arrangiamenti per tutti i suoi ultimi spettacoli di prosa, a cominciare da ‘Storie parallele’, accompagnandola con la chitarra".

In che modo le si è schiuso il mondo documentaristico?

"Lo spezzino Andrea Maggi, un grande documentarista italiano scomparso, aveva aperto una società di produzione in città, e cercava una persona per scrivere delle musiche sull’Atollo di Aldabra. Erano i primi anni 2000 e io stavo smontando il mio studio dove producevo musica dance (in Brasile un suo brano ha spopolato, ndr.). Ho scritto musiche per un film subacqueo, poi sono nati altri lavori significativi, con operatore in acqua Valter Torri, uno dei documentaristi più importanti di ‘Geo’ d’Italia. È stato lui, diventato poi un fraterno amico, a far sì che il mio nome avesse visibilità".

Ma che musica le piace?

"Da ex dark adoro i Depeche Mode e i Cure, quindi tutta la new wave. Poi, Gustav Mahler, il minimalismo, le musiche moderne del secondo Novecento e Arvo Pärt. Infine, le ballad della musica folk irlandese e americana, importante contributo al mio modo di fare musica oggi, un’unione di quei caratteri con gli etnici e quelli classici".

Dal punto di vista operativo, in un documentario come si comporta?

"C’è una prima fase, la spotting session, quando si recepiscono indicazioni e desideri del regista, per poi creare le timeline, dei mark dove inizia e finisce ogni singolo segmento di musica: dal minuto 1 al minuto 2 vuole musica ampia, al 5 l’attesa e al 10 la suspense e così via".

Parte ogni volta da zero?

"L’unico punto di partenza è il bagaglio che poco alla volta cresce. Ora parto da 53 anni, poi saranno 54, cercando di ripetersi il meno possibile".

Quanto conta la tecnologia nella musica?

"Oggi, un musicista che non sappia governare la parte tecnologica, è menomato. Il mio business nella documentaristica mi costringe a fornire un prodotto finito, una traccia, non uno spartito, quindi devo sapermi registrare e produrre, avendo ‘davanti a me’ un’intera orchestra, di cui posso suonare le singole parti".

Ma vede sempre il documentario su cui deve interagire?

"A volte no, come i lavori per Toncelli. Scrivo le musiche per ‘Il cacciatore di paesaggi’, un programma di Kilimangiaro, so cosa vuole e invio. Diversamente accade con Barbieri, per cui sto attualmente componendo (sugli ultimi nomadi in Mongolia), o con Torri".

Qual è il suo ritmo in studio?

"Il mio obiettivo è riuscire, quando non ho commesse, di fare ‘libreria’. Sennò, l’idea è di produrre due minuti di musica al giorno, finita, ovvero pensata e arrangiata".

Cosa le dona questa esperienza?

"Quando operi sulle immagini diventi amico degli animali e delle persone che vengono da luoghi lontani. Entri nel cuore delle culture".

Punti focali della musica applicata?

"Il sincronismo implicito ed esplicito. La musica, accoppiata all’immagine o al testo che viene pronunciato, serve a veicolare il messaggio che vuol trasmettere la regia, per complementarsi, non sostituirsi. Una musica applicata, però, può avere un senso, pur ‘sfilandola’: ecco il progetto del mio disco ‘Geo’, una selezione di 26 brani uscita di recente".

Perché questo cd?

"Mi sono accorto che avevo moltissima musica scritta negli anni e c’era bisogno di far convergere, più per un motivo di conservazione personale, questi contributi".

Il maestro Morricone sopra tutti?

"Un genio straordinario, che teneva a non essere considerato solo un musicista applicato".