Giovanni Battista Bobbio nacque a Bologna il 3 luglio 1914. La famiglia era di Bedonia, dove il giovane studiò in seminario, prima di approdare a Chiavari. Ordinato sacerdote, gli fu affidata la parrocchia di Valletti di Varese Ligure, piccolo paese di montagna. Dopo l’8 settembre 1943 arrivarono nella zona, provenienti in gran parte dal Tigullio, i partigiani della Brigata Coduri, che vi posero la loro base operativa. Don Bobbio sarà definito il cappellano della Coduri, ma lo fu per missione sacerdotale, non per scelta ideologica: il giovane prete sentì il dovere di considerare quei giovani come la sua seconda parrocchia.
A Velva, a pochi chilometri, erano stanziati gli alpini della Divisione Monterosa, schierati con i fascisti, ma con forti spinte interne alla diserzione. Don Bobbio non militò esplicitamente nelle fila partigiane – come fece per esempio don Luigi Canessa, cappellano della brigata Centocroci, operante tra Varese e la Val Taro – ma si adoperò fin da subito in un’opera, non facile, di non belligeranza con gli alpini della Monterosa. Instaurò un rapporto con il colonnello Policario Clerici, del Comando della Monterosa. Ma era un alpino fascistissimo, e con lui non ci fu nulla da fare. Clerici trattò sia con la Coduri che con la Centocroci: ma senza esiti, perché voleva solo risultati a lui favorevoli. Altri alpini, invece, passarono nelle file partigiane.
Il 30 e il 31 dicembre 1944 furono giorni tra i più tragici per la Coduri. Il rastrellamento nazifascista partì dal passo del Biscia, probabilmente per qualche spiata. Il Comando di brigata si ritirò a Varese, per un errore causato da un equivoco. Le vittime furono nove, i prigionieri 32. Le forze sbandate della Coduri si riunirono con quelle della Centocroci. Altri tre saranno i caduti, nei giorni successivi: in tutto 12. Don Bobbio era stato preso prigioniero. Fu ucciso senza alcun processo il 3 gennaio, al poligono di tiro di Chiavari, dopo essere stato trascinato per le vie della città con una grossa corda al collo. Monsignor Paolo Botto, provicario generale a Chiavari, l’unico sacerdote che poté avvicinarlo nell’ultima ora, riferì che don Bobbio disse ai militi presenti: “Dio vi perdoni per ciò che state per fare contro di me”.
Ma perché fu ucciso? Aveva fatto da intermediario, e di solito gli intermediari non si uccidono. Forse il motivo fu il fatto che, durante il rastrellamento, gli uomini del capitano della Monterosa Lorenzo Malingher perquisirono la canonica e trovarono “documenti compromettenti”. Forse Malingher, che aveva perduto un occhio in uno scontro con la Coduri, era intenzionato a vendicarsi. Va inoltre considerato che il principale esponente del fascismo chiavarese era il criminale Vito Spiotta, comandante del III battaglione della Brigata Nera Silvio Parodi, vice federale di Genova del Partito Nazionale Fascista. Spiotta, con due squadristi della sua banda, fu condannato a morte dopo un regolare processo e fucilato l’11 gennaio 1946. La banda Spiotta fu responsabile di rastrellamenti con distruzioni, saccheggi, incendi, e di omicidi seguiti a torture. Il suo operato ricorda molto quello della banda di Aurelio Gallo alla Spezia. Spiotta – come emerge dalla ricerca dello storico Giorgio “Getto” Viarengo – aveva una vera e propria ossessione contro i sacerdoti. Emerge dai suoi scritti nel giornale che dirigeva, “La Fiamma Repubblicana”. Ecco un’altra analogia con la banda Gallo, che nel rastrellamento del novembre 1944 alla Spezia arrestò e torturò molti sacerdoti. Sulle montagne della Liguria, diceva Spiotta, non doveva “rimanere un filo d’erba”. Per fortuna non fu così. Il 21 maggio 1945 si tenne, a Chiavari, il funerale dei Caduti della Divisione Coduri. La prima delle 43 bare, tutte fasciate nel tricolore, era quella di don Bobbio, portata a spalle dai seminaristi della Cattedrale. In quel grande corteo silenzioso si manifestò l’unità della Resistenza come progetto umanistico di liberazione dell’uomo, come “condizione naturale di ogni uomo che voglia vivere da uomo”.
Giorgio PaganoCo-presidente del Comitato Unitario della Resistenza