MARCO MAGI
Cronaca

Favole omeopatiche per adulti. Porcelli Safonov per ’Women’: "Le bugie che ci raccontiamo"

La storyteller ospite questa sera alla Marinella di San Terenzo per il festival ’Voci di donne’ "Ho ricreato l’identikit di otto brutte persone realmente esistite. Così ci identifichiamo".

Favole omeopatiche per adulti. Porcelli Safonov per ’Women’: "Le bugie che ci raccontiamo"

Favole omeopatiche per adulti. Porcelli Safonov per ’Women’: "Le bugie che ci raccontiamo"

Con ‘Omeophonie’, ossia favole omeopatiche per adulti, della nota Arianna Porcelli Safonov – storyteller e autrice di testi satirici – accompagnata sul palco dalle musiche dal vivo di Renato Cantini e Michele Staino, prosegue stasera, alle 21.30 alla Marinella di San Terenzo, promosso da Fondazione Carispezia e Comune di Lerici, il festival ‘Women – Voci di Donne’.

In quelle storie, ‘otto persone che non vorremmo mai essere’: vuole far prendere consapevolezza a tutti noi, di avere una piccola parte di ‘brutta persona’?

"Mi ha sempre fatto sorridere la circostanza per cui ci ritroviamo a indicare le brutte persone altrove rispetto a noi: le merde son sempre gli altri. Allora ho provato a scrivere l’identikit di brutte persone realmente esistite, per solleticare l’esercizio a riconoscerci almeno in qualche loro connotato".

E qual è la più grande bugia che ci raccontiamo per sentirci meglio?

"In questo ambito non ci siamo evoluti e credo che la più grande e pericolosa bugia sia quella secondo cui le istituzioni internazionali e nazionali vogliano il nostro bene e la pace tra i popoli. Una bugia che oramai non viene aggiornata da parecchio tempo".

Ma perché secondo lei, comunque, in generale, si cerca di essere necessariamente ‘più buoni’?

"Innanzitutto, il concetto di bontà è profondamente cambiato ed è stato letteralmente malformato dalla borghesia. Siamo buoni se mostriamo di pensar bene, correttamente, in alcuni ambiti dove abbiamo delle precise istruzioni su come ci si debba comportare, ma contemporaneamente le nostre azioni discutibili vengono spesso giustificate da un ideale di bene comune che fa acqua da tutte le parti: una società inclusiva molto esclusiva che fa morire i comunisti e piangere i comici".

Lei ha parlato di ‘supplizio sempiterno che spetta ai creativi’: nel nostro Paese hanno ancora più difficoltà?

"Pur avendo strutturato tutta la sua storia e la sua cultura sulla sapienza dei creativi, oggi l’Italia sottostima il lavoro creativo, vincolandolo ai ricchi che possano permettersi di non percepire denaro dall’attività artistica e permettendo che imperi la sfiducia nei confronti di un settore che, secondo la maggior parte degli italiani non dà da mangiare. I pochi che lavorano preferiscono le rendite di posizione allo sviluppo di collaborazioni tra artisti. Come se l’arte fosse divenuta un bene di lusso, mentre è il talento che dovrebbe essere protetto e incentivato".