Roberta Della Maggesa
Cronaca

Chi è Bucci, l’uomo del fare che in 45 giorni ha conquistato i liguri

Si diceva che non sapesse convincere le masse. E invece Bucci ha vinto tre elezioni, ma soprattutto decisiva è stata la gestione dell’emergenza sul Ponte Morandi

Genova, 29 ottobre 2024 – Uno perennemente accigliato, burbero, a tratti scostante. Durante l’appuntamento organizzato nella hall dell’Nh Hotel per presentare all’establishment spezzino il programma messo in piedi in quattro e quattr’otto, ha pure redarguito, microfono alla mano, alcuni sostenitori che rumoreggiavano insistentemente: "Se non siete interessati potete accomodarvi fuori". Risatine.

Ma in quella provocazione a mezza voce, di Marco Bucci c’è parecchio: quanto basta ai suoi per osannarlo come l’"uomo del fare", e anche un po’ della stizza di chi, dall’altra parte della barricata, gli rimprovera di non saper catturare le masse. Di non essere abbastanza sciolto nella parlantina, di non avere dimestichezza con il politichese stretto, di infarcire i suoi comizi di locuzioni tratte dallo slang americano: peccato veniale, per un manager che ha vissuto gran parte della vita tra la Svizzera e gli Stati Uniti.

In realtà, poco ’piacione’ lo è anche l’altro ligure da competizione, lo spezzino Andrea Orlando, quattro volte ministro, il politico di lungo corso, l’uomo simbolo delle istituzioni romane. Giacca d’ordinanza. Una storia, anche personale, di dedizione al partito: che vuol dire militanza, e dalla più tenera età, ma anche giornate senza fine passate dietro le tende del Nazareno e una lontananza forzata dalla casa di Fossitermi e dalla Liguria tutta.

Nella tarda serata di ieri, dopo lo spoglio al cardiopalma, a separare Bucci da Orlando c’è soltanto una manciata di preferenze: poche migliaia su una platea potenziale di un milione e trecentomila voti. Ma a fare la differenza davvero, in questa competizione elettorale che molti hanno etichettato come banco di prova della politica nazionale, ci sono anche le storie di questi due liguri: quelle autentiche e insieme gli stereotipi che le accompagnano, e che senza dubbio hanno avuto discreta presa sugli elettori.

Bucci? Oggi, ma evidentemente così è stato anche nel segreto dell’urna, Bucci è il commissario del ponte Morandi, l’uomo che è riuscito a risollevare Genova e la Liguria finite nel gorgo di una tragedia dalle proporzioni epiche. Pratico, concreto, senza i fronzoli del ’politically correct’, è il sindaco che non ha avuto paura di lanciarsi, vestito soltanto di costume da bagno e t-shirt, dallo scivolo gonfiabile di trecento metri allestito in via XX Settembre in occasione del Costa Day. Colpito da un tumore metastatico alle ghiandole del collo, a chi, dopo la deflagrazione del Toti-gate gli chiede insistentemente di mettersi a disposizione della coalizione, oppone inizialmente un tenace rifiuto. "Il dottore me lo sconsiglia", confida ai suoi più stretti collaboratori.

Ma poi cede alle ’lusinghe’ di Giorgia Meloni e in soli quaranta minuti di conversazione sulla linea telefonica Genova-Roma risolve con un ’sì’ i patemi d’animo che avevano tolto il sonno ai colleghi. Certo, Bucci è anche l’uomo della continuità con Giovanni Toti. Tra tutti è forse quello che più ha condiviso, con l’ex governatore trattenuto due mesi ai domiciliari per corruzione, quel ’modello Liguria’ finito nel tritacarne della magistratura e delle opposizioni. Eppure i liguri a tutto questo sembrano aver fatto spallucce. Il risultato ottenuto nelle urne dalle due liste del presidente, che insieme ’cubano’ quasi il 16% delle preferenze e che drenano consensi anche ai partiti – Fratelli d’Italia se la cava con un onorevole 15%, superiore alla performance del 2020 ma lontano anni loce dal 26,7 portato a casa alle Europee – dimostra che il civismo, vero o presunto, paga ancora.

Orlando? Oggi è l’uomo solo al comando. L’ex vicesegretario del Pd, che su queste elezioni aveva lanciato la scommessa di un ritorno dei democratici al territorio, alle piazze e alla rete dei circoli, oggi incarna la grande sconfitta. Ancora più bruciante perché arrivata a bruciapelo quando l’obiettivo sembrava a portata di mano. È il leader nazionale che, partito un mese fa con un margine di vantaggio a doppia cifra sull’avversario, ha dovuto subire, nell’ordine: il veto grillino sull’apertura delle candidature ai renziani; l’effetto destabilizzante di alcune dichiarazioni pentastellate non sempre in linea col profilo di una coalizione che vuole investire sulle infrastrutturale; e, non da ultimo, pure la dichiarazione di morte apparente del campo largo a opera dello stesso Conte. Oggi poco consola che i grillini non riescano neanche ad arrivare alla soglia del 5%, scavalcati da Avs. E anche il risultato del Pd, che sfonda il muro del suono del 28%. lascia solo un vago rimbombo di sottofondo.