Il nuovo Camec. Wolf indica la strada: "Luce, ritmo e ironia oltre le visioni chiuse"

Il punto con il curatore del Centro di Arte Moderna e Contemporanea. Tra un passato interessante e le grandi sfide da conquistare. "Serve una politica culturale in grado di attirare un turismo di qualità" .

Il nuovo Camec. Wolf indica la strada: "Luce, ritmo e ironia oltre le visioni chiuse"

Il punto con il curatore del Centro di Arte Moderna e Contemporanea. Tra un passato interessante e le grandi sfide da conquistare. "Serve una politica culturale in grado di attirare un turismo di qualità" .

di Marco Magi

LA SPEZIA

Innanzitutto professor Wolf, quali sono le motivazioni che l’hanno portata ad accettare l’incarico?

"Curiosità. Ho valutato la ricchezza e qualità della collezione, soprattutto le più di mille opere della collezione Cozzani. Mi ha notevolmente impressionato, comunque, la sua internazionalità".

Ha individuato quale fosse il punto debole della gestione precedente?

"Non proprio. E se vedo le tante pubblicazioni sulla collezione, le numerose mostre realizzate, considero il periodo vissuto davvero interessante. Ovviamente con alti e bassi. Fare mostre temporanee sulla base di opere della collezione, era però l’attività pubblica principale, che aveva il limite di non poter offrire una presentazione più estesa e duratura della collezione stessa".

Quali scelte sono state fatte adesso per valorizzare la collezione permanente?

"Fare uscire molte opere dai depositi e proporle in diversi formati espositivi. Tutto parte dagli spazi, dall’architettura stessa: idea di partenza era aprire l’edificio verso la città, in termini concreti, con l’apertura delle finestre; poi la quadreria nel lungo corridoio del piano terra con 65 opere. Si tratta di opere della Collezione Cozzani che, insieme alle opere del Premio del Golfo (a partire del 1949), formano il nucleo più importante del museo. Una parola chiave per l’allestimento è ‘ritmo’, cioè di non presentare le opere in una sequenza paratattica, ma di combinare vari media artistici. Valorizzare vuol anche dire vedere i limiti della collezione, come li pensiamo oggi, ad esempio le poche opere di artiste, quelle di altre culture e non solo".

Spezzini e turisti saranno finalmente attratti da questo museo?

"Speriamo bene! Non dipende solo dal museo stesso, ma dalla politica culturale e dall’offerta che la città farà per attirare un turismo di qualità".

Come si bilancia l’aspetto storico o culturale con le esigenze di intrattenimento dei visitatori?

"Se non si permette ai visitatori di divertirsi si sbaglia. E considerare il pubblico come ‘limitato’ o un po’ ‘stupido’ come spesso i pr ci vogliono far credere, pure. Svegliare un interesse si può, per tutte le generazioni. Le visite guidate creative sono essenziali, come anche i supporti digitali".

Cambiamenti anche in termini tecnologici?

"Al momento il display è assai ‘puro’, ma ci saranno poi interventi di questo tipo. Il digitale è complementare, apre altri orizzonti e traccia altri potenziali percorsi, per esempio con QR code che inseriremo per ‘raccontare’ alcune opere. Il nuovo sito e il canale Instagram si aprono lo stesso giorno del museo".

Che interazione ci sarà con gli artisti spezzini ancora in vita?

"Spero che si faccia vivere il Camec come dice il nome, come Centro di arte anche contemporanea. ‘Ancora in vita’ suona... geriatrico, bisogna coinvolgere giovani e meno giovani, artiste e artisti, spezzini ma non solo. Propongo infatti di creare uno spazio per interventi contemporanei nel nuovo allestimento della collezione, cosiddetta permanente, con una presentazione dinamica e con spunti sempre diversi. Conversazioni con artisti sono già in vista".

L’aspetto che più sorprenderà chi entrerà al Camec?

"L’apertura degli spazi verso la città, con la sua luce. E senz’altro la grande quadreria, ma non è tutto".

L’arte contemporanea è destinata ad avere i grandi centri urbani come cuore pulsante, ma l’arte contemporanea può avere un ruolo importante perfino in provincia?

"Ho curato mostre in grandi musei e la dinamica è diversa. Ho comunque, una profonda simpatia per i musei nei centri di provincia, e il Camec con la sua ricca e interessantissima collezione, è un caso assai fortunato. Si racconta l’arte in prospettiva italiana, europea e americana, ma si rivela anche la città, la sua storia e cultura. Bisogna svegliare e tenerne vivo l’interesse con mostre anche piccole, a volte basta ospitare un’opera importante".

C’è chi individua un vulnus dell’arte contemporanea nel suo essere materia di interesse puramente cerebrale ed elitario. Per affascinare un pubblico più vasto è necessario passare per la provocazione?

"Non credo sia il caso della collezione con cui abbiamo lavorato al Camec, e non mi sembra in termini generale un problema attuale. Che l’arte del XX secolo spesso abbia voluto e sia anche riuscita a provocare è un fatto storico, come è anche vero che esiste al contrario una vena formalista, una modernità sobria e ‘astratta’. Se parliamo di una ‘curatela provocatoria’, combinare opere che di solito non si mettono una accanto all’altra, può essere una provocazione. Ma scandalizzare l’opera nel raccontarla è sbagliato. Nel nostro caso abbiamo piuttosto voluto lavorare con una certa dose di ironia".

Quali pensa siano le sfide più grandi che i musei e il Camec devono affrontare nel futuro?

"Gestire la multimedialità, uscire da una visione chiusa e iperdidattica, indirizzare un pubblico interculturale e transgenerazionale, non chiudersi nelle collezioni troppo ferme e essere in dialogo tra loro, oltre a scambiare opere e collaborare in progetti".