"Mentre i più piccoli continuavano ad esser in aula, gli studenti delle superiori erano a casa: hanno sofferto e per questo è stato creato un progetto ad hoc per loro". Non c’è ancora un consuntivo sulle cifre di ‘Essere adolescenti oggi: responsabilità e sacrificio’, ma Elisa Scapazzoni, psicologa in prima linea per alleggerire quel fardello accumulatosi per effetto della pandemia, ha comunque riscontri positivi.
Come funziona?
"Ci siamo mossi verso ascolto e responsabilizzazione. Abbiamo dato voce ai rappresentanti di classe di un buon numero di scuole e la risposta è stata bella. Ci ha colpito molto il passaggio fra la didattica a distanza e in presenza: avevano una gran voglia di rientrare, pur riconoscendo che il valore della dad, ma la socialità e le relazioni mancavano troppo".
A che punto siete?
"Il progetto va avanti e dovremmo esser quasi a termine. Ci siamo messi a disposizione delle loro richieste, siamo in contatto e questo condizionerà l’evoluzione del cammino".
Qual è adesso l’umore dei ragazzi?
"Mentre a giugno c’era la sensazione che tutto sarebbe rientrato nella normalità e in estate erano liberi, ora manca la sicurezza verso il futuro: sono depressi e preoccupati, questa mancanza di certezze li fa soffrire. Tanti sono penalizzati anche a scuola: non possono fare i laboratori, si pensi per esempio, per l’alberghiero cosa possa significare non cucinare. I ragazzi delle prime non si sono integrati con i compagni, a quelli delle quinte manca l’orientamento".
Un bilancio delle loro principali problematiche e dei comportamenti.
"Le parti positive, guardando al periodo della dad, è che hanno avuto modo di aiutarsi: chi era demotivato è stato aiutato dai compagni e anche gli insegnanti si sono dimostrati vicini e presenti. A tanti, il Covid ha fatto ritrovare la dimensione familiare, ma purtroppo per altri ha scatenato conflitti: hanno dovuto assumere un ruolo genitoriale nei confronti della madre e del padre, sentendo un senso di colpa per la mancanza del lavoro di questi e i problemi economici".
Per una generazione così vicina alla tecnologia, la dad non è stata un vantaggio, per certi versi?
"Molti ci hanno riferito di richieste da parte dell’insegnante anche alle 11 di sera e questo ha creato un continuum stressante. Si sono sentiti sovraccaricati. Un ragazzo ci ha detto che i prof gli hanno tolto il piacere del telefonino: da passatempo è diventato incubo, parole sue".
Ora, il tanto atteso ritorno a scuola. Ma non c’è il rischio di una maggior esposizione al contagio?
"Sicuramente è stato un fattore positivo per le relazioni. Ho trovato ragazzi responsabili: se prima si abbracciavano e si davano il bacino, ora stanno attenti, evitano. C’è attenzione: ad esempio, chi fuma si allontana, cercano di uscire in gruppi ristretti o evitano i bus troppo pieni".
Davvero tutti ligi?
"Ci sono anche alcuni che non sono propriamente negazionisti, ma non si rivelano così solerti. Notiamo che condiziona molto, in questo senso, la famiglia. Uno studente ci ha detto chiaramente di non farcela più. Dall’altra parte, però, c’è chi è infastidito da questi comportamenti e vorrebbe che in classe venissero a testimoniare i medici che combattono il Covid o le persone che hanno rischiato la vita".
Ci sono stati comportamenti anomali?
"C’è stato qualche caso di autolesionismo in generale che non traspariva dalle chat, ma in questo la vicinanza ritrovata aiuta. Fra le ragazze, disturbi alimentari ed ossessione per la forma, fra i maschi, dipendenza da videogiochi e apatia. Tanti hanno paura di rientrare in società: la casa è vista come posto sicuro. E c’è chi teme anche che si aprano le finestre in classe, perché l’aria porterebbe il virus. Detto ciò, abbiamo trovato giovani capaci di mettersi in gioco, di riflettere su se stessi".
Chiara Tenca