VIMAL CARLO GABBIANI
Cronaca

Faccia a faccia con Papa Francesco: “Giornalista? Aiuti la gente a distinguere il vero dal falso”

L’emozione di un incontro inatteso durante il pranzo nella residenza di Santa Marta. Il racconto di una giornata resa indimenticabile dal colloquio col Santo Padre

Il nostro collaboratore Vimal Carlo Gabbiani insieme a Papa Francesco in Santa Marta

All’interno della sala da pranzo della Domus Sanctae Marthae (nota anche come Casa o Residenza di Santa Marta, all’interno della Città del Vaticano, che dal 2013 essa è anche residenza stabile di papa Francesco), sono rappresentati tutti e cinque i continenti. Ci sono gli europei, con una nutrita rappresentanza polacca, gli indiani, i colombiani, gli statunitensi, i neozelandesi e gli africani. È la bellezza della Chiesa universale, che si stringe attorno ad un papa amato dal popolo ma anche spesso sotto attacco, a volte colpito dal fuoco amico di quella gerarchia ecclesiastica a cui ha sottratto privilegi e imposto, lui gesuita tenace, un modello di sobrietà e semplicità. I giovani Monsignorini della Segreteria di Stato e i venerabili Arcivescovi a riposo, all’inizio sorpresi dai suoi piccoli gesti rivoluzionari, ora lo guardano con un rispetto tale da spingerli all’emulazione.

La Spezia, 6 gennaio 2024 – Almeno una volta alla settimana il Papa mangia con i dipendenti della Domus Santa Marta. Cuochi, camerieri, donne delle pulizie e addetti alla portineria vanno a comporre una grande tavolata con al centro il Vicario di Cristo in terra. È una delle tante rivoluzioni attuate da Bergoglio, rimasto sempre fedele a quel "sibi nomen imposuit Franciscum" pronunciato dal cardinale protodiacono Jean-Luis Turan al momento di presentarlo al mondo dalla loggia centrale della basilica di San Pietro. In quel nome, Francesco, i più lungimiranti scorsero subito un potente messaggio: una Chiesa povera per i poveri. Una Chiesa umile vicina agli umili.

Non stupisce quindi l’abitudine di pranzare quasi più spesso con gli inservienti che con i membri della Curia romana, ambiente dove prima dell’arrivo di Francesco resistevano tradizioni e abitudini secolari spazzate via dalla ventata di aria fresca portata dal papa argentino. Utilitarie al posto delle Mercedes, abiti semplici invece dei pizzi e dei merletti e una ferma volontà nell’abbattere ogni forma di pomposità, di distacco, di autocompiacimento.

Arrivato a Termini, nel percorrere il breve tragitto che separa i binari dalla fermata dei taxi, oltre alla difficoltà di dover fare lo slalom tra agguerritissimi e leccati managerini in doppiopetto antracite, sono colpito nel vedere che più di un mendicante abbia un santino del Papa. Quasi a dire, "di lui posso fidarmi". Man mano che ci si avvicina al colle del Vaticano, mentre il tassista decanta le delizie della carbonara e della cacio e pepe, i rumori della città si fanno più attutiti, l’atmosfera più ovattata. Ho appuntamento per pranzo con l’Arcivescovo Angelo Acerbi, decano dei Nunzi Apostolici nato a Sesta Godano nel 1925.

Superati i controlli di rito da parte della Gendarmeria e della Guardia svizzera trovo l’anzianissima Eccellenza, peraltro ancora in ottima forma, ad attendermi nella hall di Santa Marta, quella che nacque ed è ancora una sorta di albergo per prelati e che dal 2013 è diventata anche residenza papale. Entrando nella sala da pranzo scorgo subito, in un tavolo un po’ appartato in fondo alla sala, il Santo Padre, circondato da alcuni collaboratori. È appena arrivato anche lui, e tale e quale agli altri ospiti della Domus si alza e va al buffet delle insalate. Me lo trovo fianco a fianco mentre riempie il suo piattino con un po’ di carote e pomodori. "E’ molto parco nel mangiare, quasi frugale" mi confida l’Arcivescovo Acerbi, al quale Sua Santità insiste per cedere il passo.

È una di quelle occasioni in cui l’emozione prevale, e non riesco a fare altro che a ricambiare il sorriso del Papa. Il pranzo prosegue e l’austerità voluta da Francesco sembra riflettersi anche nelle pietanze che vengono servite in tavola. Un piatto di trofie al pesto, per me che sono ligure quasi uno scherzo, e una scaloppina di tacchino con della cicoria ripassata. Al momento del dolce, che è un’extra da chiedere a parte, le alternative sono tre: tartufo nero, tartufo bianco o viennetta. Salto il gelatino, dato che non siamo proprio in stagione, e passo direttamente al caffè. Ascolto divertito gli aneddoti raccontati dal Nunzio, che ha avuto una vita romanzesca tra Sud America, Giappone e Oceania, ma il mio sguardo torna spesso come una calamita a spiare quella veste candida in fondo al salone.

Quando ormai ho perso ogni speranza di potergli rivolgere la parola, vedo Francesco che prima di guadagnare l’uscita si dirige dritto verso il nostro tavolo. Vuole salutare personalmente il mio ospite, di cui ha grande stima. "Come andiamo Eccellenza?". "Sono nell’ultimo tratto del mio cammino, ma fino all’ultimo mi sforzo di offrire una testimonianza della mia fede". Francesco gli poggia una mano sulla spalla "Grazie, è un esempio per tutti noi". Poi volge lo sguardo verso di me: "Prima volta in Vaticano? Le è piaciuto il pranzo?". "Abbiamo mangiato un piatto della mia terra Santità". "Davvero? Quella pasta strana con quel sugo al basilico? Era buona. Lei di dov’è?". "Di La Spezia, in Liguria." "A Genova sono stato. Di che cosa si occupa?" "Sono giornalista pubblicista". "Giornalista? Un mestiere molto importante. Cerchi sempre di aiutare la gente a capire cosa è vero da cosa è falso. Avete una grande responsabilità".

Chiamato un segretario con un cenno della mano si fa portare un rosario, lo benedice e me lo regala. A volte anche delle semplici trofie al pesto possono essere la scintilla per una di quelle conversazioni che si fanno una sola volta nella vita.