A un invito di Leo Muscato non si dice di no. Se poi il regista ti chiama per curare le coreografie della Prima alla Scala di Milano, come rifiutare? La spezzina Michela Lucenti è ancora emozionata, nonostante siano passati già dieci giorni dallo spettacolo, ‘La forza del destino’ di Giuseppe Verdi, con cui è ufficialmente inaugurata la stagione. Cinquantatreenne, ex esponente del gruppo L’Impasto e dal 2003 capofila di una formazione di danzatori-attori denominata Balletto Civile, la coreografa e ballerina, già protagonista di tante importanti partecipazioni – fra le altre, tutti i festival più celebri come Segesta, Orestiadi e la Biennale di Venezia – ha vissuto un magico 2024. All’esperienza milanese – dopo il Premio Roma Danza nel 2011 – aggiunge infatti, fra aprile e giugno, il Premio Positano Léonide Massine e il Premio Ada D’Adamo.
La preparazione, la sensazione durante l’esibizione, il giorno dopo. Ci racconta la sua esperienza alla Scala?
"In principio ero stranita, perché in scena non c’erano danzatori. Mi dovevo occupare di una massa di 105 membri del Coro e 25 mimi, di alcuni giganteschi quadri fisici, con persone non abituate a lavorare fisicamente. Le prime settimane è stato molto complicato, avevo accanto solo il mio assistente e compagno Maurizio Camilli. Continuavo a domandarmi: ‘E qui come faccio?’. Ho ragionato sul come creare una scultura vivente, che cambiasse in maniera pseudonaturalistica, considerando che il Coro, dal secondo al quarto atto, ha un ruolo fondamentale".
E alla Prima?
"Il più era stato fatto, quella sera è soprattutto una grande festa in diretta Rai, un kolossal, un evento mondano. Nelle prove generali, aperte al pubblico under 30, ho avuto il primo riscontro: ero sicura che l’operazione scelta arrivasse alla gente".
Cosa cambia per lei dopo questa ennesima sfida?
"Niente, continuerò a proporre il mio particolare linguaggio ibrido, fra teatro e danza, magari lavorando maggiormente nella mia regione, la Liguria. È una speranza, sebbene il teatro pubblico stia diventando sempre più privato".
Chi ci rimette con questa ‘trasformazione’?
"I nuovi linguaggi, che devono fare spazio alle Stagioni dove, per incassare, le direzioni dei teatri chiamano solo i personaggi televisivi famosi. Oggi, per un interprete o per un regista, è difficile debuttare in location prestigiose".
La sua ibridazione delle arti sta lasciando un segno?
"Le idee vengono accettate se alla base c’è la preparazione (lei è anche laureata in Lettere, ndr). Durante una sperimentazione, Manuel Agnelli mi disse che nella musica, puoi perfino ‘spaccare le chitarre’ ma devi studiare. Solo così, ovunque, acquisti la libertà di rompere le regole".
Balletto Civile ha senso artistico e etico, numerosi i temi trattati. Cosa pensa, ad esempio, della questione femminile?
"Siamo ben lontani dalla parità. Come donna che dirige una compagnia da quando aveva 24 anni, mi confronto quasi sempre con direttori, capi tecnici, registi e maestranze, sempre uomini. Chi dice che ci sia da fare un passo indietro non ha compreso nulla. Non dobbiamo stare attenti a demonizzare, anzi, siamo solo all’inizio di una lotta enorme che le donne devono compiere. Io? Una donna in barricata".
Da artista avverte l’obbligo di esporsi? E i femminicidi?
"Certo. Man mano che aumenta la nostra libertà, purtroppo vengono a galla padri, fratelli, compagni che non accettano la depauperazione del loro potere".