
Il Tar ha annullato i dispositivi emanati a Santo Stefano Magra e Arcola. Nel mirino dei territori i limiti per l’esposizione ai campi elettromagnetici. "In assenza di evidenze non si può inibire l’impiego delle tecnologie".
Adottate dalle amministrazioni per porre un freno ai nuovi limiti per l’esposizione ai campi elettromagnetici – innalzati da 6 a 15 volt/metro dall’ultimo Ddl Concorrenza –, erano state accolte con soddisfazione da buona parte dei residenti dei due territori, preoccupati per il continuo proliferare di nuove antenne 5G. I propositi dei Comuni di Arcola e Santo Stefano Magra sono stati però cancellati dal Tribunale amministrativo regionale, che nei giorni scorsi ha annullato le ordinanze vergate dai sindaci dei due Comuni a seguito dei ricorsi presentati da uno dei colossi delle telecomunicazioni. A bussare al Tar ligure è stata la società Wind Tre, che nel ricorso ha evidenziato come il provvedimento dei due sindaci andrebbe a impedire l’esecuzione degli interventi di implementazione "necessari ai fini dell’assolvimento degli obblighi di copertura della rete di telefonia mobile 5G previsti dalla delibera dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni". Secondo i legali della società, inoltre, gli atti sarebbero stati viziati da incompetenza e violazione della Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, datata 2021, per avere limitato sul territorio comunale il funzionamento di stazioni radio con valori oltre il limite di 6 volt/metro, incidendo sui limiti di esposizione che sono attribuiti alla competenza esclusiva dello Stato. Non solo: secondo i legali della stessa società, "non è stata dimostrata l’esistenza di alcuna emergenza sanitaria locale". Tesi che sono state sposate dal Tribunale amministrativo regionale ligure, che ha annullato i due provvedimenti sindacali. Per ciò che concerne l’ordinanza emanata dal Comune di Santo Stefano, i giudici ritengono che "il fatto che, come affermato dal Comune, non vi sia certezza degli effetti a lungo termine dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, comporta certamente l’obbligo di continuare il monitoraggio e gli approfondimenti scientifici, ma in assenza di evidenze o quantomeno di seri indizi sui pregiudizi di tale esposizione, non è possibile inibire l’impiego di tali tecnologie che rispettino i limiti espositivi stabiliti dalla normativa nazionale, che è molto inferiore di quella europea. Non sussistono i presupposti per la disapplicazione della normativa nazionale, in quanto non sussiste alcun contrasto con quella eurounitaria che, invero, prevede limiti di esposizione di quattro volte maggiori rispetto a quella italiana".
Sul ’caso’ di Arcola, invece, i giudici amministrativi nel cassare l’ordinanza si sono limitati a sottolineare che "non si riscontra nemmeno un’emergenza sanitaria a carattere locale, costituente presupposto dell’ordinanza sindacale. Il provvedimento contiene un generico riferimento ad un possibile rischio per la salute delle persone, che, però, non risulta apprezzabile neanche in via potenziale, non essendo stata compiuta la benché minima istruttoria al riguardo. Per contro, tutti gli studi scientifici sinora condotti hanno concluso nel senso della non pericolosità dei livelli di riferimento previsti dalla raccomandazione europea e, in particolare, del ben più elevato valore soglia di 61 voltmetro suggerito per l’intensità di campo elettrico nell’intervallo di frequenza in cui rientrano le frequenze di interesse per il sistema 5G".
Matteo Marcello