CHIARA TENCA
Cronaca

"La Resistenza in forma di fiaba". Gino Covili raccontato dal figlio

Genio, bidello e fumatore accanito, venne a bagnarsi nel mare delle 5 Terre per curare l’enfisema. Riomaggiore gli dedica una personale: 16 opere dal ’Racconto partigiano’ e 4 dedicate alla vendemma.

Gino Covili è stato un pittore di cicli: celebre quello che ha dedicato alla vendemmia delle 5 Terre

Gino Covili è stato un pittore di cicli: celebre quello che ha dedicato alla vendemmia delle 5 Terre

"La Resistenza, per Covili, è stata la sua fondazione poetica". Parte da qui, chiamando il padre per cognome, il racconto di Vladimiro, figlio di Gino da Pavullo nel Frignano, Modena. Un pennello fiabesco, ma anche inquieto, capace tanto di far sognare, quanto di denunciare, come nel ciclo, a cui ha dedicato tre anni di vita e lavoro, sui malati di mente di Gaiato che colpì perfino Franco Basaglia. Un frutto dell’Emilia, partigiano, bidello, artista. Fumatore accanito, colpito da un enfisema che lo spinse a curarsi al mare. Non mare di sabbia, ma di scoglio: quello delle Cinque Terre, dove approdò per sette-otto estati di fila e che gli ispirò nuove tele, nuove pennellate. Alcune di queste saranno al centro della mostra che Riomaggiore dedica all’illustre emiliano adottato dal Levante ligure a vent’anni dalla sua scomparsa, dal titolo che parla e apre interpretazioni e paralleli: ’R-esistenza’. "Mette insieme sedici opere del ’Racconto partigiano’ – spiega Vladimiro – e quattro dedicate al vino e create alle Cinque Terre, realizzate negli anni Novanta. Una, ’Il guardiano della vigna’ è stata esposta soltanto una volta al Labirinto di Franco Maria Ricci (celebre opera a Fontanellato, ndr.), le altre tre sulla vendemmia sono inedite: tre opere diventate tre poesie".

E se è vero che in quest’angolo della Liguria la viticoltura eroica fa veramente rima con il concetto della resistenza, stavolta con la r minuscola, Covili da Pavullo, dove il mare è lontano, mette da parte la dirompenza dell’artista di denuncia e si gode lo spettacolo. "Non ha tirato fuori la fatica, ma dall’alto, a volo d’uccello vede i vigneti e il mare mosso in lontananza con i contadini che vendemmiano: è come una festa, è una saga popolare con i chicchi dorati, un’esplosione di colori. I contadini su muovono tra i muretti a secco, lui li guarda come se fosse un gabbiano. Ha amato questi luoghi e queste opere sono diventate il suo atto d’amore a una terra. L’ha fatta diventare una leggenda, una favola che rimane nella memoria". La Resistenza con l’iniziale maiuscola torna, però, in parallelo se si parla di valori: la sua arte e la sua poetica restano vivide e non solo per i colori e la dinamicità. "Ha capito il senso di solidarietà del luogo, si è riconosciuto nei suo valori, nelle vicende degli uomini che diventano un tutt’uno". Ed ecco il legame vero e proprio con la lotta partigiana. "Per Covili – a cui il premio Oscar Vittorio Storaro dedicò un corto –, ogni gesto creativo, ogni segno e pennellata è un atto di resistenza. Ecco la sua attualità". Guccini lo definì ’il cantore dell’Appennino’, Sgarbi ’il Van Gogh italiano’.

E come dar torto ad entrambi? Ma c’è di più. Perché quel ragazzo che visse due anni all’addiaccio rischiando la vita per la libertà, senza mai avere una fissa dimora, scoprendo la solidarietà contadina, "sarebbe probabilmente diventato pittore, ma non avrebbe avuto l’ambizione di costruire un linguaggio unico per forza e resistenza". Vladimiro fa riferimento a ’La guardia’: il partigiano è nella neve, ha enormi scarponi, il mitra in mano, fuma una sigaretta. "È come se fosse lui. E nel ventesimo anniversario della scomparsa, mi sento di affermare che il racconto di una vita continua nelle sue opere, suggerendo sempre nuove letture e nuovi percorsi".