GIORGIO PAGANO*
Cronaca

La strategia dei borghi al setaccio. Vezzano e l’orrore del 7 dicembre. Il rastrellamento e poi le torture

Tre vittime, due civili e un partigiano, e trecento abitanti prelevati e trasportati all’ex 21° Reggimento. In 17 non tornarono da Linz, Mauthausen e Norimberga. La traccia dei disegni ’marchiati’ col sangue.

Vera Giorgi

Vera Giorgi

VEZZANODopo il rastrellamento in Val di Magra e in Apuania del 29 novembre 1944, dai primi di dicembre i fascisti e i nazisti iniziarono una nuova tattica: setacciare gli abitati dei paesi limitrofi alla città, per sbarazzarsi dei Cln che alimentavano la guerriglia ai monti. Rastrellarono a Pitelli, ad Arcola, a Follo, a Piana Battolla e, con le conseguenze più tragiche, a Vezzano Ligure. Il Cln spezzino conosceva da fonte sicura la data del rastrellamento che stava per colpire Vezzano: il 7 dicembre. La sera del 6 dicembre i membri del Cln vezzanese erano pronti ad allontanarsi dal paese. Ma quel giorno giunse la staffetta Giuseppe Guglielmo “Bufera”: disse che il rastrellamento ci sarebbe stato l’8 dicembre.

La partenza fu rinviata di un giorno. Ma il 7 dicembre, all’alba, i fascisti e i nazisti erano già a Vezzano. Mai si seppe dell’origine di quell’errore. Due giovani civili furono uccisi mentre uscivano di casa: Vera Giorgi e Carlo Grossi. Fu ferito un giovane partigiano delle Sap, Giuseppe Carmé, che morì qualche mese dopo. Trecento vezzanesi furono trasportati nell’ex 21° Reggimento alla Spezia, il luogo del terrore, regno dei criminali fascisti della banda di Aurelio Gallo. Gallo era a Vezzano la mattina del 7 dicembre. Lui e la sua banda seguirono personalmente il rastrellamento, l’arresto e le torture all’ex 21° e il trasferimento nel carcere genovese di Marassi, dove praticarono ai prigionieri nuove sevizie, prima del viaggio nel campo di concentramento di transito a Bolzano, e da lì ai campi di Linz, Mauthausen, Norimberga. Accanto a Gallo, quella mattina, c’era il parroco don Emilio Ambrosi, che annuiva o meno al pronunciamento dei nomi. Era stato il principale delatore. I membri del Cln vezzanese erano “vecchi” antifascisti – il comunista Pietro Andreani, il democristiano Rinaldo Basini, il socialista Attilio Battolini – e il giovane Enrico Bucchioni, cattolico e comunista, partigiano ai monti fino al rastrellamento dell’agosto 1944. Diplomato maestro, aveva una spiccata inclinazione artistica. I vezzanesi che non tornarono dai campi furono 17.

Andreani e Bucchioni furono invece trattenuti in carcere, come possibile “merce di scambio” per ottenere la liberazione di tedeschi e fascisti prigionieri dei partigiani. Dopo la Liberazione il vezzanese Sante Quaglia andò a visitare l’ex 21° e vide sui muri di alcune celle disegni molto belli di Vezzano visto dal fiume e della chiesa di Vezzano basso. Erano di una tinta brunastra: molto probabilmente del sangue dell’autore, Enrico Bucchioni. Il 2 febbraio 1945 i partigiani tentarono di rifornirsi di farina da un forno di Vezzano. Don Emilio se ne accorse e chiamò i fascisti. Una loro bomba, incidentalmente, colpì a morte un fascista. Un partigiano di Giustizia e Libertà, Annibale Giansoldati, fu ucciso. Il giorno dopo la rappresaglia scattò feroce: Pietro Andreani ed Enrico Bucchioni vennero fucilati nel piazzale davanti alla chiesa di Vezzano. Pietro gridò “Viva il comunismo!”. Anche quel giorno c’erano Aurelio Gallo e don Emilio Ambrosi. Dopo la Liberazione, Aurelio Gallo fu processato e condannato a morte. Don Emilio Ambrosi pure, poi a trent’anni di reclusione. Tra gli orrori di questa vicenda va ricordato un episodio umano: un giovane venne risparmiato dalla deportazione da un soldato polacco che rivedeva in lui il fratello ucciso dai tedeschi durante l’invasione del suo Paese. La prova che, in ogni momento, ciascuno di noi può fare la propria parte.

* Co presidente del Comitato Unitario della Resistenza