
La Spezia, 17 novembre 2020 - I campi sterrati di Ribera, il calcio, il distacco dalla famiglia a 15 anni per inseguire il sogno, la famiglia, il talento, il carattere, la semplicità e una frase che ne riflette la personalità: "Nessun limite, solo orizzonti". Vincenzo Italiano è un uomo realizzato, di successo, sulla rampa di lancio per una carriera da predestinato, con in dote la genialità dei grandi e l’umiltà dei forti. Un uomo buono, semplice che la notorietà non ha cambiato: "Io sono questo – afferma – ho fatto il calciatore ad alti livelli, ma sono rimasto lo stesso. Non vedo perché uno debba ostentare superiorità, io non dimentico da dove sono partito".
Partiamo dalle origini, dalla sua infanzia a Ribera.
"Dopo i primi sei mesi a Karlsruhe, dove sono nato, con mio padre Giuseppe e mia madre Caterina tornammo a vivere in Sicilia, a Ribera. Un’infanzia felice, accompagnata dalla passione innata per il calcio, ero sempre con il pallone in mano, non avevo altri giochi se non quello. I miei campi di allenamento erano la strada, i campetti in giro per il paese, i tornei con le sfide tra coetanei. Mi divertivo tantissimo, ripensandoci era un imparare ogni giorno qualcosa, un modo per forgiare il carattere, crescere in fretta".
Figlio unico?
"No, ho due sorelle Silvia e Sabrina più piccole di me".
L’adolescenza?
"Sempre nel segno del calcio, la militanza nella società dilettantistica del Ribera e poi il grande salto, all’età di 15 anni, con il trasferimento a Partinico per giocare nella locale squadra militante in Serie D. Cominciai a maturare l’idea che il calcio potesse diventare la mia professione: a 16 anni giocai 10 partite in Serie D e al tempo stesso frequentai la scuola per geometri. Partinico è un’ora e un quarto di distanza da Ribera ed è chiaro che, almeno il primo mese, non fu facile, perché sentivo la mancanza degli affetti, degli amici. Superai quelle difficoltà perché avevo fisso l’obiettivo da raggiungere, la certezza che quella era l’unica strada per sognare, per diventare calciatore".
I genitori l’hanno sostenuta?
"Sempre. C’è stato un momento che credevo di non farcela, ma mi hanno sempre detto di seguire la mia passione. Ed ora, nei loro occhi, vedo l’orgoglio per quello che ho fatto e sto facendo".
Poi la svolta col trasferimento a Verona, ma un legame con la terra natìa rimasto intatto.
"Non ho mai abbandonato le mie origini, ogni estate torno sempre a Ribera a ricaricare le pile. Mi rivedo con i miei parenti, i miei amici, quella terra è per me fonte di rilassamento. Le fragole, le arance, i colori, sono sempre sensazioni forti".
Da dove deriva la sua notevole capacità comunicativa?
"Fin da piccolo sono sempre stato un po’ timido, riservato. Mi hanno aiutato tanto i compagni di squadra e mia moglie Raffaella che conobbi quando andai a Verona a 18 anni".
Il ruolo della sua famiglia?
"Mia moglie e i miei figli Cristian e Riccardo, di 18 e 13 anni, sono il mio pensiero giornaliero, la mia vita. I miei ragazzi sono il frutto dell’amore tra me e mia moglie, sono pezzi di cuore, sono tutto. Sono anche loro calciatori, entrambi tifosissimi dello Spezia, si sono affezionati ai colori bianchi come il loro papà. Riccardo gioca nelle giovanili del Padova, Cristian in una squadra dilettantistica. Non sono un papà che assilla i propri figli, che facciano il loro percorso".
Gli spezzini la chiamano Vincenzino, ‘uno di noi’: è entrato nei loro cuori perché ha vinto, ma anche per la sua componente popolare.
"Queste sue parole mi trasmettono brividi. Per chi fa questo mestiere la cosa più bella è sentirsi apprezzato. Questo affetto mi riempie il cuore di gioia, al pari di vedervi felici per avervi regalato la Serie A. Questa avventura in A l’ho sposata in pieno, mi è venuto spontaneo dopo aver visto la festa promozione e l’attestato di grande amore nei playoff. Mi piacerebbe rivedere quella gioia se dovessimo ottenere la salvezza".
I tifosi la vogliono in tuta e non in giacca e cravatta.
"Gli spezzini sono persone umili, perbene, non con la puzza sotto il naso ed io sono come loro. Un po’ mi rivedo nel carattere degli spezzini. Ecco perché in tuta mi trovo a mio agio, rispecchio i miei ragazzi".
Pregi e difetti?
"Sono una persona buona, sincera, leale, umile e semplice. Forse sono troppo ossessionato nel cercare la perfezione e non stacco mai col lavoro".
Il sogno?
"Non ho mai giocato le Coppe europee, mi piacerebbe farle da allenatore".
Il suo piatto preferito?
"Il pesto, qui è una delizia".
Una frase per definire Spezia e gli spezzini.
"Spezia è sorprendente. Non la conoscevo, è una città che mi piace tantissimo, posti bellissimi, mi sono innamorato di tutto. E gli spezzini sono persone ricche di passione, che amano moltissimo la loro città".
Aquilotti si è per sempre?
"Mi è entrato nel cuore tutto ciò che è Spezia, sia in ambito calcistico che fuori. Sono affezionatissimo. Essendo poi stato il mister della Serie A credo sia normale essere diventato un aquilotto come voi, lo resterò per sempre".
Nessun limite solo orizzonti.
"Quella frase lì penso sia un cavallo di battaglia, torniamo a quando avevo 15 anni, a quel ragazzo che non doveva porsi limiti, che doveva guardare avanti. Ancora adesso seguo quegli orizzonti".