MARCO MAGI
Cronaca

"Le antenne degli artisti annusano i cambiamenti. Anche per chi fa politica"

Paolo Asti vanta un prestigioso curriculum con produzioni e cura di eventi culturali in Italia e nel mondo...

Paolo Asti vanta un prestigioso curriculum con produzioni e cura di eventi culturali in Italia e nel mondo con l’associazione Startè. Ha collaborato con decine di artisti tra cui il maestro dell’astrazione geometrica Eugenio Carmi. Vanta una laurea honoris causa negli Usa e un master alla Luiss in Cultural Skills. È direttore del magazine Startè Republic e dal 2018 lavora con la casa editrice Allemandi - Il giornale dell’Arte.

Come vede oggi la nostra città rispetto al mercato dell’arte contemporanea?

"La Spezia conta collezionisti che custodiscono opere importanti, Camec e Museo Lia nati per ospitare le collezioni donate da alcuni di loro. Vedo spezzini acquistare opere alle fiere di settore, ma la città è fuori dal mercato dell’arte, sebbene si cominci a comprendere quanto sia importante il rapporto tra arte e impresa e come l’arte sia utile per comunicare. L’esempio è quello di Massimo Perotti, che ha scelto Venezia per la sede della fondazione San Lorenzo".

In che modo si supporta un artista emergente nel farsi conoscere e nell’affermarsi?

"È un lavoro lungo, che implica investimenti, relazioni con media, collezionisti e galleristi. Ma serve soprattutto un progetto, nulla è improvvisato. Il talento di un artista non basta, serve la volontà di non darsi per vinto e continuare sulla propria strada".

Che funzione ha l’intelligenza artificiale nell’arte contemporanea?

"Da un lato ha facilitato la speculazione, dall’altro si è già rivelata una bolla. L’Ia è dentro la nostra vita, ma fare una bella fotografia con il telefonino che la sistema, non significa essere né un fotografo né un artista".

Che tipo di posizione crede che l’arte possa e debba avere nel confronto con il mondo di oggi?

"I politici, dovrebbero tenere conto delle antenne degli artisti, grazie alle quali essi comprendono il cambiamento e ne anticipano l’arrivo con la propria espressività. Pensi a quando Leo Castelli negli anni ‘50 aprì la sua galleria nel West Broadway, comprendendo i cambiamenti che avrebbe attraversato la società americana interpretata da artisti come Pollock, De Kooning, Rauschenberg, Johns e Twombly. E poi negli anni ’60 e ‘70 con Stella, Lichtenstein, Warhol e altri ancora, costruendo la loro e la sua fortuna. L’arte divenne pop, ovvero raffigurazione di ciò che era popolare trasformandone i protagonisti in icone".

Conosce i sedici artisti dell’esposizione de ‘La Nazione’?

"Conosco il lavoro di tutti e con molti di loro sono legato da vecchia amicizia. Nutro ammirazione per il loro percorso artistico, che nel tempo ha conquistato la stima degli operatori del mondo dell’arte. Abbiamo lavorato insieme in città, in Italia e nel mondo. A tutti mancherà Francesco Vaccarone di cui la città è orfana".