GIORGIO PAGANO*
Cronaca

L’ingiusta fine di ’Facio’ e la falsa medaglia. Ma la Resistenza deve guardarsi in faccia

Pagano rilancia: "Dobbiamo conferire una nuova onorificenza all’eroe partigiano fatto uccidere ai monti dai capi comunisti"

L’ingiusta fine di ’Facio’ e la falsa medaglia. Ma la Resistenza deve guardarsi in faccia

Pagano rilancia: "Dobbiamo conferire una nuova onorificenza all’eroe partigiano fatto uccidere ai monti dai capi comunisti"

La crescita del movimento partigiano nella primavera-estate del ’44 spinse verso la “politicizzazione” e la “militarizzazione” delle bande. A giugno si costituì il comando generale del Corpo volontari della Libertà, che per la nostra zona propose un comando unico per le formazioni di Parma, Apuania (Massa-Carrara) e La Spezia. L’obiettivo non si concretizzò a causa della controffensiva contro i partigiani in Appennino e della sconfitta delle “zone libere” del Ceno e del Taro. Il comando unico spezzino, che nacque alla fine di luglio con il nome di I Divisione Liguria e assunse in seguito il nome di IV Zona, fu l’erede di questo progetto: divenne infatti responsabile per le formazioni che operavano alla Spezia ma anche in Apuania, con qualche sconfinamento nel Parmense. Il comando unico spezzino ebbe origine da un compromesso tra i due partiti principali – il Partito comunista e il Partito d’azione – e unì le formazioni garibaldine (comuniste), quelle di Giustizia e libertà (azioniste), la brigata Centocroci (“mista”, cioè autonoma ma con una forte componente garibaldina) e il Battaglione internazionale di Gordon Lett. L’accordo prevedeva che il colonnello Mario Fontana – un socialista ma soprattutto un militare – fosse il comandante e Antonio Cabrelli “Salvatore”, comunista, il commissario politico.

L’esordio del nuovo comando non poté essere più infelice: fu incapace di prevedere prima e di contrastare poi il rastrellamento del 3-4 agosto, che fu per i partigiani un vero e proprio “disastro”. Le forze naziste e fasciste erano del resto soverchianti: quasi seimila uomini. Le formazioni comuniste e azioniste furono subito disperse. Solo la banda giellista guidata da Daniele Bucchioni “Dany” a Calice e soprattutto la Centocroci sul monte Scassella, poco più a nord del monte Gottero, si fecero onore resistendo e contrattaccando, e permettendo così ai resti delle altre brigate di ripiegare, anche se con gravi perdite (oltre 50 partigiani). L’area rastrellata, in particolare il territorio di Zeri, fu teatro di violenze anche verso la popolazione civile: 19 le vittime, tra cui due sacerdoti. Fontana fu richiamato un mese dopo, insieme a Cabrelli: alternative non ce n’erano. Fontana riuscì certamente a realizzare un po’ di coordinamento e di disciplina. Se di “esercito partigiano” si può parlare, l’accento va posto sull’aggettivo: perché le bande, in fondo, ne costituirono ancora l’ossatura. Molto si guadagnò rispetto alla fase precedente, anche se forse qualcosa si perse: dal punto di vista della Resistenza come movimento dal basso, della banda come luogo di vita collettiva e partecipazione. Si vietò, per esempio, l’accesso delle donne alle formazioni. Forse si poteva operare una sintesi più alta: la politica non è l’arte del comando, ma – appunto – della sintesi.

La riflessione è doverosa se si pensa a ciò che precedette quel pur giusto e inevitabile processo unitario: l’uccisione da parte di Cabrelli e degli altri dirigenti comunisti ai monti del partigiano più eroico e più amato dalle popolazioni, Dante Castellucci “Facio”. Morì, innocente, a 24 anni. Era il 22 luglio 1944. La Federazione comunista fu molto critica: "Avete agito contro di lui con la stessa indifferenza che si usa contro una spia o un fascista". Ma qualche giorno dopo Cabrelli fu nominato commissario politico della I Divisione Liguria. Il materiale umano era quello che era. Anche per questo il movimento partigiano divorò alcuni tra i suoi figli migliori. E’ vero che la Resistenza non avrebbe vinto senza i partiti antifascisti. Ma è vero anche che non avrebbe vinto senza i partigiani come “Facio”. Nel 1963 a “Facio” fu data una medaglia d’argento: nella motivazione era scritto che fu ucciso dal nemico. Un altro atto di cinismo. E’ giunto il momento di revocare la falsa medaglia e conferire una nuova onorificenza. Fare giustizia fino in fondo: lo dobbiamo a “Facio” e alla Resistenza. In un momento in cui la Resistenza è sotto attacco non dobbiamo temere di criticarne i lati oscuri, per fare emergere la straordinaria luce della lotta in cui la Nazione italiana tornò a nuova vita e conquistò la democrazia. La democrazia che non ha memoria del proprio passato – di tutto il suo passato, senza rimuoverne le parti più sgradevoli – non può avere forza.

* Co-presidente del Comitato unitario della Resistenza