Non basta una denuncia per maltrattamenti in famiglia, seppur dettagliata sui piano temporale e fattuale, a portare alla condanna di colui che è indagato come autore degli stessi: occorrono i riscontri esterni. Quelli che sono mancati nel processo ad un uomo del Bangladesh finito alla sbarra per rispondere di una sfilza di accuse: male parole nei confronti della donna (anche lei originaria del paese asiatico) e anche azioni violente, come quella di aver preteso di consumare rapporti sessuali anche quando lei, a seguito di un’operazione, aveva dei punti alla pancia e il ginecologo le aveva prescritto l’astinenza.
Nel capo di imputazione vengono tratteggiati i contorni di una violenta reazione dell’uomo allo scoperta del taglio di capelli deciso da lei a sua insaputa. "Mi ha afferrato per il collo e poi colpita con calci e pugni alla schiena" aveva scritto la donna nella querela. Fatti ricostruiti senza ancoraggi a referti o testimonianze di persone terze. Quelle interrogate in aula hanno riferito di non essersi mai accorte di episodi violenti, seppur il menage di coppia fosse tutt’altro che tranquillo.
La difesa, sviluppata dall’avvocato Andrea Giorgi, ha fatto centro nel rappresentare un quadro probatorio fallace. Quanto è bastato per portare all’assoluzione dell’imputato.