
Molti i talenti cresciuti in città Non soltanto Toto Cutugno Una fucina spesso dimenticata
Prima o poi qualcuno dovrà pur scrivere la storia della "scuola spezzina" dello spettacolo. Perché se Genova vanta a buon diritto di essere la patria dei cantautori, non meno rilevante è il contributo della nostra città, pur nella sua ridotta dimensione. L’evento doloroso della morte di Toto Cutugno è l’occasione per ricordare che in questa Spezia tanto bistrattata e così smemorata verso i propri figli migliori, è cresciuta una generazione di talenti di assoluto rilievo, tutti vissuti nello stesso quartiere, a poche decine di metri gli uni dagli altri.
Toto Cutugno è il classico esempio di spezzino sfollato, nato nel luglio del 1943 a Tendola in quanto luogo di origine della mamma, sposata con un sottufficiale di Marina siciliano di stanza in città. Troppo rischioso vivere a Spezia sotto l’incubo dei bombardamenti, ma estremamente pericoloso si rivelò di lì a breve anche il vivere nelle realtà piene di sfollati dell’immediato entroterra, come le stragi nazifasciste avvenute tra Sant’Anna di Stazzema e la Lunigiana purtroppo testimoniano nella loro bestialità. Fatta salva la pelle, la famiglia di Cutugno tornò in città a guerra finita, stabilendosi in Piazza Saint Bon, precisamente Palazzo Calderai, quello che chi scende dalla stazione attraverso via Paleocapa si vede davanti agli occhi nella sua maestosità.
A pochi metri di distanza, nel tratto di via Fiume che sfocia in Piazza Garibaldi oggi pedonalizzato, avevano casa e bottega i genitori di Eros Pagni (1939, vivente), uno dei massimi attori teatrali italiani degli ultimi sessant’anni, ancora adesso attivo presso lo Stabile di Genova, dove primeggiano altri spezzini più giovani come Sara Bertelà e Fabrizio Contri (anagraficamente nato a Massa, ma anche lui dello stesso quartiere degli altri). Poco distante, sempre in un raggio strettissimo, viveva anche Antonio Salines (1936-2021), uno dei primi divi degli sceneggiati tv degli anni ’60, attore cinematografico, ma soprattutto anch’egli un gigante della scena teatrale italiana come attore, regista e persino proprietario del Belli di Roma. Talmente innamorato del suo quartiere, da comprare casa negli ultimi anni in via dello Zampino, a due passi dal purtroppo ex Teatro Monteverdi, dove veniva a passare periodi sempre più lunghi e dove, grazie all’amicizia con Roberto Rolla, provava durante l’estate i suoi spettacoli dentro il Teatro Don Bosco, a dieci passi da casa, nella discrezione più assoluta.
Proprio il teatro salesiano è il grande convitato di pietra che unisce tutti questi personaggi, compresi quelli di cui non abbiamo ancora parlato, a partire dal polesano Gianni Brezza (1937-2011), primo ballerino della Rai e poi scenografo di successo, un uomo che fece sognare il femminino di una nazione negli show del sabato sera degli anni ’60 e ’70 in coppia con Raffaella Carrà, con ascolti misurabili in decine di milioni di spettatori nell’era del monopolio pubblico. Brezza fu un esule che trovò nella nostra città la sua seconda patria, misurando i primi passi proprio negli spettacoli di arte varia instancabilmente organizzati nel teatro fortunosamente rimesso in piedi dopo i bombardamenti, che invece avevano miracolosamente risparmiato l’attigua chiesa della Madonna della Neve. Giovani che vivevano gli anni pieni di speranza del dopoguerra in una povertà dignitosissima, quella che faceva tirare fuori alle migliaia di tute blu l’abito buono in occasione delle domeniche, comprando le paste da Moizo (Piazza Saint Bon all’angolo di via Bixio) o nelle altre pasticcerie della zona.
Cutugno, di pochi anni più giovane, li seguì: le sue giornate si dividevano tra le battaglie di strada in Piazza Saint Bon, una sorta di via Pal spezzina brulicante di ragazzi, con le capanne costruite sopra gli alberi come fortini, e l’oratorio salesiano, dove si distingueva per il suo modo di giocare a pallone molto grintoso, dimostrando un carattere che lo avrebbe portato lontano. L’ombrosità di Cutugno era dovuta alle tragedie familiari che aveva vissuto, con la morte a 7 anni della sorella Anna, soffocata da un boccone, la malattia dell’altra sorella Rosanna, tuttora residente a Rebocco, prima bimba ad essere operata al cuore in Italia, la meningite che aveva colpito il fratello Roberto, che suonò con lui nei complessini degli inizi. Ma Cutugno fu anche un felice padrone di casa nel 1990, quando portò il suo spettacolo Piacere Rai Uno al teatro Astra, oggi purtroppo supermercato, facendo conoscere per una settimana intera a una vastissima platea la sua città e anche molti personaggi della sua infanzia, come la tabaccaia Felicina, mamma dei fratelli Razzuoli, famiglia che ancor oggi gestisce l’attività in Piazza Saint Bon. Pochi metri lontano, di poco più giovane, il futuro regista e sceneggiatore Enrico Oldoini (1946-2023), stessa trafila e stesso successo. Ma proprio il più misconosciuto di tutti, anche dagli stessi concittadini, è stato l’unico a travalicare con la sua fama i confini nazionali, diventando il cantante italiano più famoso al mondo dopo Domenico Modugno. Senza mai dimenticare da dove era partito.
Mirco Giorgi