
Gianni Ciofani, ricercatore dell’Istituto italiano di tecnologia
La Spezia, 21 febbraio 2022 - Dall’uva delle Cinque Terre un alleato contro il Parkinson: ha trovato l’ispirazione in… casa Gianni Ciofani, ricercatore dell’Istituto italiano di tecnologia, originario di Monterosso, il cui studio potrebbe aprire nuovi orizzonti nella cura del morbo. Qual è stata l’ispirazione che ha mosso la ricerca sull’uva? "In verità è stata duplice. Nel nostro laboratorio abbiamo diversi progetti che mirano allo sfruttamento di agenti antiossidanti, da impiegare sia nel contrasto alle malattie neuro degenerative, sia per applicazioni di medicina spaziale. Un giorno mi trovavo a Monterosso e mio zio stava vinificando. Era alle prese con le vinacce: così mi son detto: perché non verifichiamo i poteri antiossidanti di questi scarti? È noto che l’uva abbia queste proprietà: noi le abbiamo quantificate e caratterizzate". E poi? "Attraverso un procedimento brevettato abbiamo analizzato i composti presenti, e ci siamo resi conto che le quantità di antiossidanti erano molto elevate: le uve delle Cinque Terre hanno capacità antiossidanti migliori di molte uve di altre parti d’Europa. Così le abbiamo testate su un modello preliminare del Parkinson, in vitro, composto da cellule neuronali umane trattate con un agente tossico: gli estratti hanno abbassato gli effetti dell’agente tossico, riducendo i radicali liberi e l’aggregazione di una proteina marker, specifica della malattia". Perché l’uva delle Cinque Terre possiede queste facoltà? "Difficile trovare una spiegazione, molto probabilmente è dovuto alla combinazione di terreno, ambiente e microclima, con la vicinanza del mare e i particolari pendii che permettono lo sviluppo di queste caratteristiche". L’esito della ricerca quali prospettive apre? "Vogliamo continuare i test. Siamo ancora lontani dall’applicazione sull’uomo, ma stiamo cercando collaborazioni con gruppi di ricerca che abbiano modelli consolidati della patologia di Parkinson in vivo". La pubblicazione della notizia ha creato molte aspettative... "Ho ricevuto tante telefonate e molte email, però purtroppo siamo ancora a uno stadio abbastanza precoce. Ci conforta il fatto di aver creato un modello applicabile a qualsiasi situazione dove c’è una sovrapproduzione di radicali liberi e stress ossidativo, dalla semplice infiammazione fino alla malattia neuro degenerativa. Può avere dunque molteplici applicazioni". Le sue ricerche sono finite anche nello Spazio... "Una mia passione fin dalla tesi di laurea al Sant’Anna. Lo stress ossidativo è un marker rilevante negli organismi che si trovano nello Spazio: trovare un sistema che sia in grado di abbassarne il livello sarebbe molto importante. Un domani, se si riuscisse a ottenere un prodotto da questi estratti, sarebbe interessante poterlo testare sugli astronauti, se non altro come integratore alimentare". Si è mai chiesto perché l’Italia investa così poco in un settore così strategico come la ricerca? "Ce lo chiediamo in tanti e una buona motivazione non c’è. In Italia c’è stata sempre la volontà di promuovere finanziamenti a pioggia, che spesso risultano insufficienti per poter fare della ricerca efficace. Negli ultimi tempi tuttavia ci si è avvicinati all’orientamento dell’European Research Council, cercando di fornire finanziamenti individuali ma più consistenti. È un primo passo". L’ultimo studio del Cnr conferma l’esodo dei dottori di ricerca italiani. È così difficile fare ricerca in Italia? "L’Italia è ai primi posti per numero di Grant (finanziamenti di ricerca; ndr. ) vinti, ma è agli ultimi posti della classifica dei Paesi in cui questi vengono portati avanti. Produciamo ottimi laureati, abbiamo università che per formazione sono le migliori al mondo, il problema è dopo. Manca un po’ di cultura della ricerca in Italia, credo che si debba entrare in un’ottica più internazionale, uscire dal provincialismo e pensare in grande. Ci sono situazioni che dimostrano come sia possibile farla in Italia, e l’Iit è una di queste". La ricerca si è dimostrata decisiva per trovare un vaccino contro il covid. Eppure oggi assistiamo alla sua continua messa in discussione. Che ne pensa? "In Italia dobbiamo fare più divulgazione scientifica. Basterebbe organizzare serate nelle piazze per illustrare al pubblico quello che facciamo in laboratorio, per informarle correttamente. Chi dice che non è possibile essere arrivati al vaccino in tempi così rapidi evidentemente non sa che esistono piattaforme che fanno ricerca sui virus di questo tipo da trentanni. E sono anni che si lavora sui vaccini a Mrna". Il suo obiettivo più grande? "Cercare, assieme all’associazione che abbiamo fondato (Erc in Italy; ndr) di moltiplicare i numeri dei Grant italiani. Sarebbe un obiettivo non solo scientifico ma anche sociale, che può aiutare il nostro Paese. E poi, portare avanti la ricerca biomedica in patologie importanti come quelle del sistema nervoso centrale".