MATTEO MARCELLO
Cronaca

Maxi risarcimento. Operaio dell’Arsenale morto per l’amianto: Ministero condannato

Un manovale assunto negli anni Cinquanta e morto nel 2016 a 83 anni. Una perizia ha certificato l’origine professionale del mesotelioma. La Difesa costretta a pagare 400mila euro alle figlie

Il porto della Spezia

Il porto della Spezia

La Spezia, 6 giugno 2024 – Per decenni fu esposto alle fibre d’amianto, dapprima come operaio impegnato nelle officine, nei bacini e sulle navi, poi come impiegato amministrativo dell’arsenale militare. Nel 2015, la comparsa di un mesotelioma pleurico che, in meno di un anno, ne ha determinato la morte. Un decesso che il tribunale di Genova, dopo quello della Spezia ha correlato all’esposizione al materiale killer, condannando il ministero della Difesa a un maxi risarcimento a favore delle figlie di un manovale dell’arsenale spezzino.

L’uomo venne assunto nell’estate del 1957, lavorando dapprima per qualche anno all’officina dei bacini, e poi adibito a mansioni impiegatizie – svolte sempre all’interno della cinta muraria dell’Arsenale – fino al 1965, quando venne trasferito a Maridipart e, successivamente, al Museo tecnico navale. Nel 1995 la meritata pensione; venti anni dopo, l’insorgere della malattia che, nel giro di undici mesi, causò la morte dell’uomo, all’epoca 83enne. Era il luglio del 2016, con le figlie che da subito non esitarono a correlare la terribile malattia all’inalazione delle fibre killer cui era stato sottoposto il padre all’interno dell’Arsenale militare. Il primo affondo giudiziario risale ad alcuni anni fa, quando le figlie citarono in giudizio una prima volta il ministero della Difesa per ottenere un risarcimento per la morte del padre. Il tribunale della Spezia condannò il ministero a risarcire con circa 95mila euro le due donne, all’esito di una consulenza tecnica d’ufficio in cui venne accertata la correlazione.

"Si ritiene che il mesotelioma pleurico maligno sia causalmente riconducibile all’inalazione di fibre di asbesto a cui il soggetto fu esposto nel periodo lavorativo presso l’Arsenale militare marittimo della Spezia" si legge nelle conclusioni della perizia, corroborata anche da dichiarazioni testimoniali che hanno evidenziato l’assenza di misure di prevenzione dell’esposizione alle fibre d’amianto e le responsabilità del ministero della Difesa. Consulenza tecnica che è stata poi la base per un secondo affondo giudiziario da parte delle figlie dell’uomo, questa volta dinanzi al tribunale civile di Genova, per ottenere un risarcimento del danno non patrimoniale da perdita parentale.

La sentenza è arrivata l’altro ieri, con il ministero della Difesa nuovamente condannato. Il giudice a Stefania Polichetti, all’esito dell’istruttoria – nella quale è confluita anche la consulenza tecnica d’ufficio redatta in occasione del procedimento spezzino – ha sposato la tesi dell’avvocato delle figlie, Luca Benedetto. "Gli elementi conclamano per l’esposizione professionale del defunto a rischio amianto, sicuramente ambientale e ancor più certamente diretta – si legge nella sentenza –. Certa è altresì la colpa dell’amministrazione (il ministero; ndr). Il datore di lavoro è sempre tenuto ad attivarsi per conoscere le situazioni di rischio e le fonti di pericolosità dell’attività lavorativa espletata, in base alle migliori conoscenze tecniche scientifiche del momento storico". Il ministero della Difesa è stato condannato a risarcire complessivamente 376880 euro alle due figlie (oltre interessi e rivalutazione monetaria, e al pagamento ci circa ventimila euro di spese processuali.