Muore esposto all’amianto. Risarcimento alla famiglia

Confermati in appello i 700mila euro alla moglie di ex dipendente dell’Arsenale "I 62 anni di matrimonio dimostrano una vita vissuta in simbiosi col marito".

Muore esposto all’amianto. Risarcimento alla famiglia

Il caso in Arsenale (foto d’archivio)

Ha lavorato 36 anni all’arsenale della Marina Militare con varie mansioni, in ambienti contaminati dall’amianto e spesso dovendo maneggiare direttamente il materiale. Il tutto senza aver mai avuto protezioni adeguate, né informazioni sufficienti sul rischio da parte del datore di lavoro. Per anni ha poi dovuto combattere con gravi problemi di salute, fino alla constatazione clinica, nel 2016, del mesotelioma che lo avrebbe portato al decesso l’anno successivo. La vicenda finita sui tavoli della Seconda Sezione Civile della Corte di Appello di Genova (presieduta dal dottor Marcello Bruno) che ha confermato la sentenza di risarcimento a favore della vedova, dei figli e del nipote, di un uomo scomparso nel 2017 per mesotelioma pleurico. Il caso riguardava i danni non patrimoniali subiti dai familiari, vale a dire l’alterazione della vita quotidiana e la perdita affettiva patita per la morte del congiunto. Nella sentenza è stata ribadita la cifra complessiva superiore ai 700 mila euro. Confermando la sentenza emessa dal Tribunale di Genova nel luglio 2023, la Corte di Appello accoglie ancora le ragioni della difesa dei familiari curata dagli avvocati Pietro Frisani ed Elisa Ferrarello. Come detto l’uomo aveva lavorato dal 1958 al 1994 nell’arsenale della Marina Militare de La Spezia svolgendo vari incarichi come tra cui saldatore e meccanico: un’attività svolta, è stato evidenziato nelle sentenze, in ambienti con presenza di amianto che spesso veniva maneggiato direttamente.

L’Inail aveva subito riconosciuto il nesso causale tra mansioni svolte, mesotelioma e decesso. L’Avvocatura dello Stato, per conto del Ministero della Difesa, aveva chiesto la riduzione dei risarcimenti sanciti nel primo grado di giudizio per ogni singolo beneficiario per “errata quantificazione degli importi”, poi negata dalla sentenza del 30 settembre 2024. L’avvocatura dello Stato sosteneva che i risarcimenti ai familiari risultavano inappropriati perché la vittima era scomparsa a 85 anni, vale a dire un’ età largamente superiore alla speranza di vita media maschile stimata nel 2017 a 80 anni. E relativamente alla moglie, che l’essere sposati da 62 anni è insufficiente a giustificare il risarcimento nei termini stabiliti nel primo grado di giudizio. Di opposto avviso la Corte d’Appello di Genova che scrive: "Il punteggio... riconosciuto alla signora, si giustifica tenendo conto della durata del matrimonio che dimostra una vita vissuta in simbiosi con il marito".