REDAZIONE LA SPEZIA

Nel nome di Salvador "L’orrore si chiamava ’Carovana della morte’ Ma il mio Cile è rinato"

Carla Mastrantonio racconta l’infanzia trascorsa a Vinà del Mar. Aveva solo sei anni quando Pinochet prese il potere con la forza. Ai tempi dell’università l’impegno per la campagna referendaria.

Nel nome di Salvador "L’orrore si chiamava ’Carovana della morte’ Ma il mio Cile è rinato"

Mamma Mercedes e papà Enrique hanno riunito l’intera famiglia nella sala da pranzo della loro casa a Vinà del mar. La notizia della morte del presidente Allende sta circolando da alcune ore e in tutto il paese, anche in quella città giardino affacciata sull’oceano Pacifico, il clima è di confusione totale. I soldati presidiano il centro e per le strade incedono, macchinosi, i carri armati. Carla è la più piccola dei setti fratelli, frequenta la prima elementare. Il papà parla con gravità, ma sforzandosi di non spaventare i figli. "Il momento è difficile. Il nostro presidente è stato ucciso, presto avremo ragguagli più precisi su quanto accaduto. È fondamentale che la nostra famiglia resti unita, qualunque cosa succeda". Carla ascolta attentamente, dalla finestra della cucina, pochi minuti prima ha visto sfilare una colonna di uomini in divisa. I genitori gestiscono una lavanderia industriale che serve alberghi e ristoranti di quella che è una delle principali località turistiche del paese.

Non sono attivi politicamente, ma hanno guardato con simpatia ai tentativi di Allende di favorire un riscatto delle classi popolari. Ora però il momento appare gravissimo, sopra l’abitato di Vina del mar, proprio a dieci chilometri dalla loro abitazione, si trova la residenza estiva del presidente cileno. Le bombe potrebbero arrivare anche lì, come poco prima sono esplose al Palacio de La Moneda. Più che le ideologie, la priorità ora è quella di mettere in salvo la famiglia, pensa papà Enrique. E fare quadrato, raccomandare al fratello maggiore di prendersi cura del minore, agire con estrema prudenza sembrano al momento le uniche strategie da perseguire.

Anche se aveva solo sei anni quei frangenti così drammatici li ricorda bene?

"Con precisione, parlandone anche a distanza di tanti anni riaffiorano in me espressioni, parole ed emozioni con estrema vividezza".

Cosa accadde nei giorni e nelle settimane successive alla presa del potere da parte di Pinochet?

"Era difficile rendersi effettivamente conto di quanto stesse succedendo. La televisione trasmetteva unicamente attraverso due canali, quello nazionale e quello locale, che furono immediatamente posti sotto lo stretto controllo del nuovo regime. Ricordo benissimo che a ciclo continuo veniva messo in programmazione un docufilm in cui Allende veniva dipinto come un politico corrotto che stava portando il Cile verso una dittatura comunista".

Quando avvenne per lei la prima presa di coscienza?

"A dodici anni. Non so come, forse tramite mio fratello maggiore che lavorava all’università, arrivò in casa un libriccino stampato clandestinamente. Era opera di un giornalista che descriveva, sotto forma di inchiesta, i viaggi della carovana della muerte. Il racconto delle spedizioni che i militari compivano, battendo palmo a palmo il paese fin nei più piccoli e decentrati villaggi con lo scopo di eliminare tutti gli oppositori e i dissidenti, fu per me raggelante. I ribelli venivano fucilati seduta stante e i loro corpi finivano inghiottiti all’interno delle miniere del nord. Man mano che leggevo quelle pagine nascosta sotto le coperte, incominciai a capire. Fu una brutta notte quella".

Carla Mastrantonio, che nel 1988 partecipò da studentessa universitaria alla campagna referendaria che attraverso la vittoria del no riporterà la democrazia in Cile, da più di trent’anni vive in Italia, dove partendo da Spezia è arrivata a occupare un posto nella segreteria nazionale della Cgil. Sposata con Giordano, vernazzese, ha due figlie ormai grandi, Alma e Clara. A loro ha voluto trasmettere l’amore per il Cile e ha raccontato come la figura di Allende sia sempre stata un punto di riferimento del suo impegno civico. "Il suo grande merito è aver sempre creduto nella democrazia e nella non violenza. Un insegnamento ancora attualissimo". Un insegnamento valido a ogni latitudine e in tutte le epoche.

Vimal Carlo Gabbiani