La notizia che La Spezia si sia candidata a capitale italiana della cultura per il 2027 è una buona notizia. Il tema di fondo è “La cultura come il mare”, coerentemente con le scelte che la città ha fatto con i piani strategici a cavallo del millennio: industria nautica, waterfront, Università, musei. Naturalmente la strada del rinnovamento urbano non finisce mai: è come la tela di Penelope. La strategia va continuamente aggiornata e ripensata. Tanto più che una sua parte – la “riscoperta del mare” tramite il waterfront – non si è mai realizzata, né ha fatto passi avanti l’iniziativa per restituire alla città spazi a mare occupati dal militare. Il lavoro per diventare capitale italiana della cultura dovrebbe ritrovare la capacità di pensiero strategico, ovviamente con un’attenzione particolare alla cultura. Ciò sarebbe in ogni caso utile alla città, e magari servirebbe pure per vincere. In genere, infatti, vengono premiate non “le città come sono”, ma “le città come vogliono diventare”: il che spiega perché, per esempio, Matera prevalse su Venezia.
L’altro punto chiave è che non c’è strategia se non c’è partecipazione. Le città sono fatte dai cittadini: la cittadinanza attiva è essenziale per decidere come Spezia vuole diventare. Ecco perché la richiesta del coinvolgimento del tessuto associativo e del dibattito pubblico non va intesa come una sorta di sabotaggio. Semmai è la condizione per vincere. Il dossier presentato dalla Spezia per la candidatura non è noto. O almeno lo è a pochi. Savona, città anch’essa candidata, ha il dossier sul sito del Comune. Non solo: lo ha discusso in un percorso assai partecipato nato in un’assemblea pubblica tenutasi il 15 marzo 2023, un anno e mezzo fa. Da allora ci sono stati tavoli tematici, laboratori, incontri in piazza, nelle scuole, nei centri anziani, intese con gli altri Comuni della provincia, partenariati con altre città italiane e straniere. L’ufficio della candidatura ha una sede pubblica, ed è un luogo costante di ascolto e confronto. Savona ha risposto in modo entusiasta. Da noi, pochi giorni fa, si è tenuta una manifestazione di operatori culturali alla casa-torre di via Biassa, mentre prosegue la protesta per salvare il cinema “Il Nuovo”, e così via. Insomma, non c’è in giro grande entusiasmo. Ma siamo ancora in tempo.
Perché non far conoscere e discutere il dossier a tutta la città, con regole precise ma con spirito di vera apertura? E’ nell’interesse della città: quanto più la collaborazione dei cittadini avviene in forma aperta e permeabile, tanto più i livelli di successo del progetto sono alti e diffusi. Se i gruppi di potere pubblici e privati sono ristretti, asfittici e autoreferenziali, il beneficio per la comunità si riduce a quanto direttamente prodotto da tali gruppi. Se viceversa questi gruppi operano in maniera permeabile e sanno aggregare diverse comunità, il beneficio è molteplice e di lunga durata. E poi c’è vittoria e vittoria. Faccio un altro esempio: le Olimpiadi. A Barcellona illuminarono una trasformazione con cui si aprì una nuova fase della storia della città: Barcellona divenne città globale. Ad Atene furono solo un evento auto celebrativo del potere, e non lasciarono alcun segno.
L’obiettivo è dunque vincere ma anche e soprattutto saper costruire uno spazio di ricerca permanente sul nostro futuro. Se i cittadini non sono coinvolti e partecipi, la trasformazione non si può innescare o comunque non ha valore. La trasformazione non può essere realizzata da tecnocrati che la disegnano e la impongono ai cittadini. Vive dell’azione dei cittadini stessi, del loro impegno affinché la città si sviluppi in una certa direzione. Spezia capitale della cultura non deve essere un momento elitario ma l’offerta di uno “spazio franco” dove tutti possano esprimersi, anche i più deboli. Che cos’è la cultura se non, soprattutto, accesso e partecipazione?
Già sindaco della Spezia e presidente dell’associazione culturale Mediterraneo