Dieci anni tondi di reclusione per aver orchestrato un’associazione per delinquere finalizzata a truccare le gare di Maricommi- Taranto per l’assegnazione di beni e servizi e, così facendo, incassare mazzette, quelle allungate dagli imprenditori concorrenti nella corruzione. Così ieri la condanna, da parte del gip di Taranto Rita Romano, di Giovanni Di Guardo, ex capitano di vascello della Marina Militare, degradato a marinaio semplice dallo Stato Maggiore dopo il rinvio a giudizio. La sentenza ingloba lo sconto di un terzo della pena, visto che è stata emessa all’esito di un rito abbreviato. Piena tenuta, anche per altri otto co-imputati, dell’impalcatura accusatoria messa in piedi – grazie ad intercettazioni telefoniche e indagini vecchio stile della Guardia di Finanza – dal pm di Taranto Maurizio Carbone, lo stesso che, indagando su Di Guardo, aveva colto gli indizi di intrighi-fotocopia pregressi alla Spezia, quando, prima di assumere la direzione di Maricommi Taranto, l’ufficiale gestiva in viale San Bartolomeo l’ente di Marinalles (fornititure alle navi grigie) aveva trasmesso gli atti alla nostra procura. Risultato: Di Guardo è imputato anche qui, con gli imprenditori Valeriano Agliata (originario della Spezia) e Giovanni Perrone (tarantino); devono difendersi dalle accuse di turbativa d’asta e corruzione. Un filo rosso, dunque, lega i due procedimenti che ruotano attorno a "mister 10 cento", soprannome agli atti di Di Guardo con riferimento alla percentuale della tangente incassata sull’ammontare dell’appalto.
"Mi assumo tutte le responsabilità. Sono pentito. Voglio chiedere scusa alla Marina Militare.Solo dopo essere finito sotto inchiesta, ho capito l’enorme gravità delle mie azioni, di cui porterò il peso per tutta la vita". Così Di Guardo, nel novembre scorso, in un’udienza del processo, in un sussulto di ritorno alla dignità e per attenuare la mazzata.
Il pm Carbone aveva chiesto per lui la condanna di 12 anni di carcere. Il gip è stato meno severo, evidentemente sensibile alle argomentazioni proposte dall’avvocato difensore Fabio Sommovigo che ha tentato di salvare il salvabile, sostenendo l’assistito nella dichiarazione di pentimento e scuse alla Marina.
Corrado Ricci