Sul sellino della sua bicicletta e con il cuore in mano: così la campionissima di ciclismo Morena Taragni ha rotto pregiudizi sportivi e non. Una storia ad alto tasso di emozioni che grazie alla penna di Gianluca Alzati è diventata un libro: ’Volevo fare la corridora’, che sarà presentato oggi alle 18 nel museo del Ciclismo ’Cuffini’ in via dei Pioppi 10, alla presenza dell’autore e della protagonista, che racconta la sua esperienza. Sulle orme di Alfonsina Strada, è stata la prima Azzurra a salire sul podio mondiale nel 1968, con il bronzo di Imola, si è aggiudicata due argenti nella competizione iridata a Leicester e Mendrisio (su strada), ha stabilito il record del mondo dei 3 km su pista e ha ottenuto 10 titoli italiani su strada e su pista, con 100 vittorie in bacheca a fine carriera.
Com’è nato questo libro?
"Sono stata pioniera del ciclismo femminile dagli anni 60 agli anni 80 ed ero talmente impegnata a dimostrare che questo sport potesse esser praticato da una donna, a dispetto di quanto sostenevano i maschilisti, da concentrarmi sui risultati. È stato, quindi, merito della mia compagna Paola, che mi ha fatto capire l’importanza del narrare la mia storia di atleta e donna libera e senza pregiudizi. Quest’opera è dedicata a lei: la mia compagna per 25 anni, purtroppo mancata, che ho avuto la fortuna di incontrare da adulta e consapevole e con cui siamo state accolte dalle rispettive famiglie. La nostra storia è stata amore da ogni lato la si guardasse".
Gli stereotipi non fanno per lei...
"Non ho mai sopportato le etichette e i giudizi dati gratuitamente, senza conoscere; ho avuto tanti momenti nella mia vita, ho avuto un fidanzato e pensato di sposarmi con lui, ho sperimentato la voglia di maternità, mi sono unita civilmente con Paola, che aveva 12 anni più di me e sono stata antesignana nel ciclismo femminile".
Quali le vittorie più belle e le sconfitte più significative?
"Le mie vittorie sono state importantissime, forse quella che ha lasciato più il segno è stata la prima volta su un podio mondiale con il bronzo pochi anni dopo aver scoperto il ciclismo femminile. Era il mio sogno e volevo realizzarlo, senza che nessuno potesse vietarmelo: avevo diritto di praticare questo sport, che mi ha portato a gareggiare con altre campionesse quali Cressari e Scotti. Sono state le sconfitte ad aiutarmi ad esser la persona che sono oggi: non mi sono data mai per vinta e quando perdevo, cercavo di migliorarmi, cosa che mi è servita nella vita di tutti i giorni".
Come pensa di aver contribuito all’emancipazione femminile?
"Pensiamo di aver raggiunto grandi traguardi, ma dobbiamo continuare a lottare, abbiamo della strada da fare ancora. Basti guardare nelle industrie e nelle fabbriche chi riesce a fare più facilmente carriera. Posso dire che ci ho messo coraggio, determinazione e tanto sentimento. Ho sempre profuso amore in quello in cui credevo, ho aperto la strada al ciclismo femminile in Italia e dopo aver incontrato Paola ho interpretato la mia vita senza ruoli, con determinazione e grazie anche alle persone che ci hanno circondato, a cui sono grata".
C’è qualcuna che considera sua erede?
"Elisa Longo Borghini, Elisa Balsamo, Chiara Consonni e Martina Fidanza: senza nulla togliere a tante altre forti e importanti, le considero eredi meravigliose e ammirevoli. Oggi, insieme a loro, possiamo urlare al mondo intero: ’menomale che c’è il ciclismo femminile!’".
Chiara Tenca