MASSIMO MERLUZZI
Cronaca

La versione di Tomaino: "Troppa chirurgia estetica ma pochi bar con il biliardo"

La paura del Covid diventata ispirazione di nuove opere... e l’insolita simpatia calcistica per il Napoli. "C’è tanta sottocultura dilagante, lo spezzino non si stupisce più di nulla. Le cose vanno osservate"

L'artista Giuliano Tomaino

Sarzana, 10 settembre 2013 – Potreste anche non conoscere il suo nome. Ma vi basterà pensare al cavallino a dondolo, alla mano aperta dipinta di rosso oppure al Cimbello che sarà chiaro e immediato il collegamento con l’autore di messaggi di successo.

Giuliano Tomaino è uno dei massimi artisti della Provincia, l’ideatore dell’arte povera negli anni Settanta quando ancora i termini riciclo e riuso non erano neppure sul vocabolario.

Spezzino di nascita, classe 1945, ormai sarzanese di adozione, ligure convinto e amante del mare, delle meduse, dei sapori della terra. Ha fatto strada con la semplicità riuscendo a colpire e stupire ma senza usare gli effetti speciali e non abbondare con i sapori.

Il suo regno in fondo è un’ex fabbrica di biscotti che ha fatto la storia di Sarzana e di bontà se ne respira ancora tanta. Una casa-bottega, binomio che appartiene al passato.

Giuliano Tomaino, professione?

"Artista. L’ho scritto anche nei documenti senza indicare il genere. L’arte è un modo di vivere anche se la definizione artista non è così immediata. A Spezia poi in tanti agli inizi mi chiedevano che mestiere facessi oltre a dipingere".

Quando lo si diventa?

"Nel momento in cui c’è qualcuno che guarda quello che hai realizzato e ne rimane in qualche modo colpito. Solo allora ciò che hai creato diventa arte, altrimenti rimane un oggetto".

Ma ci sarà stato il giorno in cui si è sentito davvero un artista?

"Soltanto negli ultimi anni, quando ho preso coscienza e fiducia nei miei mezzi. Allora ho assunto anche un atteggiamento diverso, più aperto e sicuro anche nei momenti più difficili che non sono mancati".

Uno di questi sicuramente è legato alla pandemia. Ha mai pensato che fosse davvero finito tutto?

"Mai. Ho avuto una grande paura di essere contagiato e di non riuscire a scamparla. Una sera non stavo bene e mi sono arrivati in casa in tenuta da guerra i sanitari ma per fortuna non avevo nulla. Dal punto di vista professionale è stato invece di grande ispirazione".

Cosa ha prodotto?

"Ho dipinto senza guardare. Sono venuti fuori segni decisamente sgangherati ma con ritmo infatti ho chiamato questi quadri A occhi chiusi e li ho venduti tutti".

Se non avesse sfondato nel suo mestiere cosa avrebbe voluto fare?

"Avrei scritto, anche se non mi sento così libero come quando dipingo e creo. Comunque lo faccio, mi annoto piccole frasi, pensieri volanti perchè mi diverte e poi mi rilassa molto".

L’ultimo pensiero che ha scritto?

"C’è troppa chirurgia estetica ma pochi bar con il biliardo".

E cosa vuol dire?

"Che c’è troppa finzione,manca la semplicità di quelle serate in compagnia. In quei locali che erano luoghi di vita, dove sentire quotidianamente la realtà, assaporare la passione. Bere in compagnia e giocare a biliardo per ore. Questa era la meraviglia".

Meraviglia. Come il tema del Festival della Mente appena concluso. Lo ha seguito?

"Certamente. È un grande momento per la città però voglio dire una cosa sul tema. Lo spezzino non si meraviglia più di niente. Tutto anche da noi ormai passa velocemente, senza troppa passione e attaccamento. Vedo persone che fotografano il gatto e filmano il loro bimbo mentre mangia. Invece le cose vanno osservate e ci si deve meravigliare di più".

Tra cento anni lei sarà «quello» del cavallino a dondolo? "Senza dubbio è il mio simbolo ed è ancora un mistero questo suo enorme successo. E’ il mio ricordo dell’infanzia, quel cavallino di legno con il quale trascorrevo le giornate percorrendo chilometri".

Perché il colore rosso?

"Anche in questo caso c’entra la mia infanzia. Il ricordo di mio padre che mi portava in bicicletta da Valdellora al Muggiano per vedere il varo delle navi. Quelle barche erano ancora color ruggine quindi tendenti al rosso e quel colore mi affascinava. Così mi ha sempre accompagnato artisticamente. Però non nella vita infatti mi vesto di nero. Nessuna ideologia ma soltanto per la pigrizia di non dover scegliere l’abbinamento degli abiti".

E’ difficile fare arte a Spezia e in Provincia?

"Ci sono ottimi elementi anche se qualcuno decisamente sopravvalutato ma come accade ovunque. Sicuramente non è facile anche perchè mancano le gallerie e i luoghi dove poter esporre e ammirare l’arte".

Lei per questo ha aperto la Factory nel centro storico di Sarzana?

"Per me è sempre stato forte il concetto di bottega. Quelle artigiane di una volta dove si imparava il mestiere osservando in silenzio, guardando il lavoro degli altri. Per questo ho chiamato ragazzi che avevano concluso le scuole e li ho voluti vicino. Credo di avergli dato qualcosa senza mai forzarli così come sono stati preziosi per me".

L’amicizia quanto conta?

"E’ fondamentale. Mi piace condividere, stare insieme alla gente anche se poi spesso sono solo. Ma è un isolamento esclusivamente fisico non certamente per mancanza di contatti e di amici".

Tra i suoi amici ci sono artisti?

"Si, sono colleghi e non ho alcuna rivalità, tanto meno gelosie. Anzi a volte li sprono a fare e dare qualcosa in più".

Tra questi ci sono Mario Soldati e Zucchero?

"Mario Soldati mi ha fatto crescere. C’era un rapporto di amicizia straordinario nel quale non si doveva chiedere ma soltanto prendere il suo modo di essere e di vivere. Conosceva l’animo umano come nessuno. Non ho mai conosciuto un uomo che sapesse capire il mondo femminile come lui. Amava le donne nel senso totale del termine. Zucchero l’ho conosciuto agli esordi proprio ai tempi di Donne e anche con lui c’è sempre stato un buon legame".

L’amicizia le ha anche consentito di acquistare questa casa-laboratorio. Ci racconta come andò?

"Avevo lo studio a Tellaro ma avevo bisogno di maggior spazio e allora mi fecero vedere l’ex biscottificio Falcinelli alla prima periferia di Sarzana. Era abbandonato e rifugio di senza tetto ma ne rimasi folgorato. Il problema però era che non avevo una lira in tasca".

E allora gli amici?

"Il liquidatore fallimentare me lo propose a 30 milioni di lire. Chiesi allora a 30 amici di darmi un milione ciascuno in cambio di un mio quadro dal valore di 3 milioni. Nei giorni successivi alla mia proposta mi chiamò la banca per dirmi cosa stessi combinando. Stavano infatti continuando ad arrivare bonifici della somma di un milione. Questi sono i miei amici".

È un uomo felice?

"Sono superfelice delle scelte fatte anche se con ancora con tanti dubbi".

Soddisfatto?

"No. Vorrei fare il quadro che ancora non ho dipinto oppure l’opera mai realizzata. Non è pessimismo è soltanto uno stimolo ad andare avanti ogni giorno. A contattare le gallerie, a partire per la Cina come per un lavoro con i bambini della scuola dell’infanzia di Bocca di Magra oppure aprire il mio studio a chi semplicemente lo vuole vedere".

La sua casa, la sua bottega. Se vogliamo è anche la sua seconda vita. Lo vuole ricordare?

"Una sera sono caduto dalle scale e ci ho rimesso il piede. Sembrava tranciato di netto e per istinto e disperazione avrei voluto lanciarmi dalla finestra. Per fortuna c’erano ancora amici in casa che mi hanno salvato. In questo posto avrei potuto morire e invece mi regala ancora emozioni quotidiane. Il piede è tornato a posto anche se non posso più giocare a calcio nelle sfide tra il gruppo Tomaino contro il resto del Mondo".

Perché quel gagliardetto del Calcio Napoli appeso tra i suoi quadri?

"Sono tifoso del Napoli, lo so che è strano per uno spezzino. Ho svolto il servizio militare a Napoli e la squadra così come le persone hanno da allora un posto speciale nei miei pensieri. La vittoria dello scudetto qualche mese fa è stata una grandissima gioia. Anche se sono stato dispiaciuto per la retrocessione dello Spezia, altra squadra del cuore".

Quando esce da questo suo castello fatato cosa vede? "Purtroppo tanta sottocultura dilagante e tanto brutto. Ma non parlo di Sarzana ma in generale".

Sarzana le piace?

"L’ho scelta. Anche se fatemelo dire: un albero di ulivo nella rotonda in piazza San Giorgio non si può vedere e mi mette tristezza. Gli ulivi devono stare in campagna non in mezzo alla strada, tra lo smog e il traffico, per altro tagliato a bonsai".