MARCO MAGI
Cronaca

Un Don Giovanni nero e annoiato: "Così ho contaminato il classico"

Il regista Cirillo spiega la sua personale interpretazione del testo di Molière e del libretto di Da Ponte

L’attore e regista teatrale Arturo Cirillo nello scatto di Tommaso Le Pera

L’attore e regista teatrale Arturo Cirillo nello scatto di Tommaso Le Pera

‘Concerti a Teatro’ abbraccia Mozart attraverso la pièce teatrale ‘Don Giovanni’, con la regia e la partecipazione dell’attore e regista teatrale Arturo Cirillo, protagonista – stasera, alle 20.45 al Teatro Civico – della seconda tappa della rassegna organizzata da Fondazione Carispezia con la direzione artistica di Miren Etxaniz.

Una versione di Don Giovanni, la sua, ‘contaminata’? "Ho usato una grossa parte del testo di Molière e un segmento del libretto di Da Ponte, che in qualche modo sì, è contaminato da Mozart – esordisce Cirillo –. Dunque, alla fine, l’intero spettacolo è contagiato dalla sua musica, che viene citata attraverso un nuovo arrangiamento di Mario Autore, giovane e bravo compositore napoletano".

Controverso ed enigmatico il ‘Don Giovanni’ di Molière. Com’è quello di Arturo Cirillo? "Anche io lo propongo nello stesso modo, perché è un personaggio che sfugge molto a se stesso, e quindi non ama farsi definire. Non riconosce il mondo di riferimento del quale lui deve far parte, a volte dichiara uno stato di natura, altre è il degno figlio di questi tempi, cioè dell’Occidente. Un Don Giovanni nero, annoiato, nevrotico, che non crede in nulla e per certi versi sfida l’Aldilà, il cielo e forse ricerca un proprio modo per tirarsi fuori, per uccidersi".

‘Don Giovanni’ racconta anche dell’uomo e delle donne di oggi? "Ogni volta che porto in scena un testo, in questo caso due testi, penso sempre al ‘rispetto all’oggi’. Non che mi piaccia attualizzarlo, perché non credo nell’attualizzazione, poiché si rischia di compiere delle minimizzazioni. Un testo può essere attuale parlando di argomenti che ci riguardano adesso, come forse sono interessati agli ascoltatori dell’epoca. Nel caso degli uomini e delle donne, è un tema che domina nel ‘Don Giovanni’. Non c’è soltanto questo, ma il confronto fra uomo e donna, che poi non è solo fra Don Giovanni e le sue donne, Zerlina, Donna Anna, Donna Elvira, ma pure tra Don Ottavio e Donna Anna o fra Masetto e Zerlina".

Ma le donne come se la passano in questa commedia? "In genere le donne sono più riflessive, in qualche modo si lasciano più abitare da delle contraddizioni personali, forse appunto, abitano perfino di più l’ambiguità della seduzione e per certi versi agiscono sempre più loro degli uomini. Per questo, durante le prove, ciò mi fatto pensare molto di più all’Amleto, perché Amleto, rispetto a tutti gli altri personaggi, agisce molto poco. Pure Don Giovanni pare che faccia tanto, ma non è così. Donna Elvira prende molte più decisioni e rischia delle azioni di avvicinamento, di critica, di messa in discussione della figura di Don Giovanni. È più forte e in questo ci vedo una contemporaneità".

E le donne nel mondo d’oggi? "Se la passano male, perché sono meno tutelate e riconosciute. È un mondo, il nostro, che continua a essere fondamentalmente maschile. Le donne in questo spettacolo prendono delle decisioni a volte piuttosto sorprendenti, perché le donne sono più concrete e consapevoli della loro condizione sociale e personale. Questo fa ben sperare, anche nell’attualità. Mi augurerei un mondo governato maggiormente dalle donne, non per ‘quote rosa’ di cui non mi frega nulla, ma perché sono convinto che abbiano maggiori qualità e che siano più portate degli uomini verso il confronto e la collaborazione".

È a partire dal suo essere attore che ha impostato la regia? "Mi sono formato teatralmente oltre all’Accademia D’Amico, con dieci anni di vera gavetta, come purtroppo non si fa più, con Carlo Cecchi, che è sempre stato un attore-regista. Nonostante le grandissime differenze tra noi, ho seguito quella linea. Le poche volte che sono stato solamente attore, soprattutto nel passato, mi sono sempre considerato permaloso e poco collaborativo. Facendo la regia ho potuto accettarmi dentro a un possibile teatro".

Infine, qual è il suo rapporto con il teatro dei ‘miti’? "È la prima volta che mi confronto con essi, in quella che è una somma di diversi atti creativi, derivati dal ‘Don Giovanni’ di Tirso de Molina, poi Molière, Goldoni, Brecht, Saramago e così via. Un personaggio che, come tutti i miti, è uno e multiplo, caleidoscopico, mai veramente afferrabile nella sua totalità".