
Li vediamo sfrecciare ogni giorno, a cavallo di biciclette, scooter e anche qualche mezzo fuori dall’ordinario. Nell’era della gig economy, quella in cui i contratti e le certezze sono ricordi sbiaditi di un’epoca che pare assai più lontana della sua reale collocazione temporale, sono diventati un vero e proprio simbolo. Senza tutele, sfruttati (anche se qualcosa sta finalmente cambiando in modo lento, ma significativo), eppure attaccati con le unghie a quell’impiego che gli assicura uno stipendio, a volte a soli due zeri. Una condizione che porta con sé anche con qualche fattore positivo, come una flessibilità che può diventar risorsa. Un tempo li avremmo chiamati ragazzi (ma ci sono anche ragazze e persone di età ben più elevata) delle consegne, oggi sono rider, dall’inglese. Cavalieri contemporanei non solo su un sellino, ma anche attraverso difficili percorsi di vita.
Alla Spezia non è esploso il fenomeno come nei grandi centri, in cui nelle ore del pranzo e della cena spuntano come funghi in attesa di ricevere l’ordine, ma esistono e costituiscono una fascia di lavoratori consolidata. "Attualmente in città – spiegano dalla Cgil spezzina, che snocciola dati e tendenze del fenomeno – sono attive quattro piattaforme di food delivery, che possono esser divise in due categorie. La prima è costituita dai portali che permettono un lavoro a prestazione occasionale, subordinato di fatto, senza vincoli contrattuali quali obbligo di turni, né controllo effettivo sui mezzi utilizzati per effettuare la consegna; di questo gruppo fanno parte Deliveroo, Glovo, Uber Eats (ultima arrivata, ndr)". In questi casi è il tanto famigerato algoritmo a farla da padrone, determinando quanti ordini assegnare ai rider; inoltre, non trattandosi di lavoro subordinato, non s’impone in questi casi la clausola dell’esclusiva. Il rovescio della medaglia è ben noto: niente ferie né malattia retribuite, assenza di una struttura aziendale di controllo a cui affidarsi in caso di infortunio o danno, mancanza di contributi in senso stretto (nella busta paga c’è la ritenuta fiscale del 20% trattandosi di una notula di prestazione occasionale, precisano dalla Cgil), paga calcolata a consegna e non ad ore. E poi, spuntano di nuovo le conseguenze del famigerato algoritmo. "Tiene conto della media di ordini eseguiti e porta chi lavora tanto ad avere maggiore disponibilità di richieste – continuano - e chi lavora poco o non dispone di un mezzo motorizzato a fare poche consegne: di fatto questo sistema polarizza il lavoro stressando sia verso l’alto, con oltre 11 ore di lavoro, e dall’altro verso il basso, con guadagni bassi o nulli, senza contare che il mezzo è di proprietà e sono di proprietà anche le spese di gestione e manutenzione".
Poi, c’è il secondo gruppo, quello di cui è parte Just Eat, azienda che ha fatto il salto di qualità applicando lo "scoober": il modello che introduce contratti da dipendente, con tutte le tutele previste. Una svolta arrivata dopo un lungo lavoro di rivendicazione da parte dei sindacati, con cui al rider vengono assicurati paga oraria, ferie, malattia. E, a quanto fa sapere la Cgil, questo cambiamento non fa male. "Attualmente, alla Spezia l’unica azienda che sta assumendo delle quattro citate è proprio Just Eat, confermando che il modello del contratto nazionale rivendicato dal sindacato è giusto e non va soltanto a vantaggio dei lavoratori, ma anche dell’azienda che si dà delle strutture gestionali solide; i rider presenti sulla nostra città ad oggi sono circa 70, di questi 46 lavorano per Just Eat. Diventa palese che le altre piattaforme sono giunte ad essere il secondo lavoro per chi è già regolarizzato e sottoposto a contratto subordinato. Mediamente i rider hanno meno di 35 anni, sono prevalentemente uomini, ma oltre il 20% è costituito da donne".
Chiara Tenca