La Spezia, 15 maggio 2016 - Nell'agosto di due anni fa la tragedia: l’omicidio consumato tra le mura di casa – una villetta alla periferia di Sarzana –, al culmine di una spirale di gelosia. Antonietta Romeo viene freddata dal marito con un colpo di pistola al cuore. Soltanto pochi giorni prima la donna aveva bussato al pronto soccorso di Sarzana, chiedendo aiuto per le botte subite: un trauma fisico, oltre che psicologico, corrispondente a un referto medico di 21 giorni, sufficiente a far scattare una denuncia d’ufficio, che però non arrivò mai a destinazione. La fine di Antonietta, oltre a comprensibili reazioni di sdegno e dolore, innescò nella provincia spezzina un dibattito senza precedenti. Ed è soprattutto grazie agli esiti di quel confronto se i due principali ospedali del territorio sono oggi inseriti nella rete del ‘codice rosa’, pensata per accudire le donne vittime di violenza e accompagnarle in un difficile percorso di emancipazione.
Un percorso che è fatto di terapia, anche psicologica, ma nel quale l’obiettivo della progressiva riconquista di una dimensione di libertà passa spesso attraverso il coraggio della denuncia. Ed è su questo aspetto che, nonostante l’ottima partenza, istituzioni, sanitari e associazioni, devono ancora lavorare, a livello sia locale che nazionale. Nel senso che l’anello sul quale gravano le fondamenta dell’intero castello – ossia l’apporto imprescindibile delle forze dell’ordine – è spesso il più debole. Il protocollo rosa non ha personale dedicato e tutto quanto viene fatto dagli uomini e dalle donne in divisa – in termini di supporto psicologico, istruzione delle denunce e inserimento nella rete di protezione, funziona soltanto grazie al volontariato di alcuni operatori della squadra mobile che hanno messo a disposizione la loro reperibilità. Una generosità encomiabile, davvero. Ma il volontariato non può bastare.