La Spezia, 12 settembre 2021 - Un commercio che non cresce più e se cresce tende ad appiattirsi su standard qualitativi molto inferiori rispetto al passato. La conseguenza è sotto gli occhi di tutti: una città – il discorso vale per Spezia ma anche per i comuni maggiori della provincia – che ha perso il suo appeal e la sua vocazione, se non la sua anima commerciale più autentica. Meno negozi, anche se il dato, come riferiamo nell’articolo a parte, non è del tutto uniforme nelle diverse tipologie merceologiche, e una tendenza ad abbassare il target.
Conseguenza della crisi economica e della pandemia, che hanno innescato un lento e inesorabile cambiamento dei comportamenti, ma anche frutto di una evoluzione globale nell’approccio all’acquisto. Che, come ammettono i rappresentanti delle categorie, difficilmente potrà essere contrastata: tuttalpiù, si potrà tentare di inserirsi in questo processo assimilandone tecniche e regole in funzione della sopravvivenza. E’ opinione diffusa che Spezia sia destinata a cambiare radicalmente il suo tessuto: da piccola capitale del commercio qualificato a realtà urbana costellata di esercizi legati al cibo e al suo indotto.
Una gigantesca "mangiatoia" per dirla con un’immagine un po’ grossolana ma di indiscutibile efficacia rappresentativa. Un’evoluzione ingestibile? Valentina Figoli responsabile commercio e agroalimentare di Cna non ha dubbi: "Spezia è lo specchio di quello che sta succedendo a livello nazionale, e non solo. Difficile cambiare questa tendenza nel breve periodo. Il commercio vive una fase di grande declino, soppiantato dalle grande realtà dell’e-commerce. Personalmente non ho mai fatto acquisti online o sulle grandi piattaforme, ma il futuro sembra essere questo, per i piccoli operatori è una battaglia persa".
E le associazioni di categoria? "Come Cna facciamo quello che possiamo, le iniziative non mancano, abbiamo organizzato corsi per insegnare a vendere sui social, ad aprire siti di e-commerce e a fotografare i propri prodotti per renderli più appetibili e competitivi. Quella in atto è una tendenza che non possiamo contrastare ma solo governare e magari cavalcare, nei limiti del possibile.
La crescita della ristorazione? Spezia rischia di diventare davvero una grande mensa". Anche l’analisi di Gianfranco Bianchi , presidente di Confcommercio, parte dal cambiamento delle abitudini di acquisto, in atto da qualche anno.
"Se prima il cliente di un negozio di un certo livello, come a Spezia ce ne erano tanti – osserva - comprava in un anno dieci capi, oggi ne porta a casa non più di due-tre, per il resto ripiega su prodotti più economici, dove l’offerta però è vastissima, e non limitata alla stagionalità, come quella dei brand più prestigiosi, ma in continua rotazione per fattura e colore. Il mercato per i grandi marchi così si restringe inesorabilmente, ecco perché a Spezia se ne vedono sempre meno.
Il Covid poi ha accentuato la crisi: con la gente a casa, nella fase acuta della pandemia, i consumi si sono ridotti e non è che con le riaperture il mercato sia ri-decollato. L’economia ha continuano a ristagnare, nella convinzione diffusa che si possa vivere anche senza consumi, o quasi. E’ un cambiamento epocale, che va interpretato e che impone nuovi modelli di consumo. Il ruolo delle associazioni è quello di fare informazione e formare gli operatori, far capire loro come sta evolvendo il mercato e come cambiare per resistere. E’ quello che stiamo facendo come Confcommercio, lanciando segnali diversi dal passato, proseguendo con la necessaria assistenza sul versante del fisco e del credito. La crisi non è colpa di nessuno, se non della globalizzazione".