
The legend of Tarzan
Lucca, 19 luglio 2016 - Ci fu un tempo in cui Lord John Clayton III era conosciuto con il nome di Tarzan e la sua casa era la giungla e non il maestoso palazzo dei Greystock, ma questa è una storia passata, un capitolo chiuso: John si è lasciato alle spalle il continente africano, intenzionato ad abbracciare il nobile retaggio di famiglia nell’Inghilterra vittoriana assieme alla moglie Jane. Nella vita di Lord Greystock di selvaggio, ormai, c’è ben poco e il pensiero di tornare nelle terre che lo hanno allevato non sembra minimamente passargli per la mente. Il suo ritorno nel Congo, però, sarà determinato da tutta una serie di interessi ben più grandi, giochi politici ed internazionali dell’Europa coloniale, architettato dal cattivo di turno e che lo spingeranno a tornare in quella che un tempo fu la sua casa. Sono queste le premesse iniziali dell’ennesimo film dedicato al personaggio nato dalla penna dello scrittore Edgar Rice Burroughs, uno tra dei personaggi più iconici dell’immaginario collettivo e la versione che ci viene proposta dal regista David Yates (noto per aver diretto quattro capitoli della saga di Harry Potter) è quella di un Tarzan ormai “civilizzato” e quanto mai reintegrato nella società dell’epoca, che all’istinto del selvaggio ha fatto spazio il classico aplomb tipicamente british.
Uno degli aspetti migliori della pellicola è sicuramente la regia di Yates, che pur narrandoci una storia alquanto lineare, lo fa con uno stile chiaro e sicuro, non perdendo tempo a raccontare nuovamente le origini di un personaggio che tutti conosciamo a menadito e scegliendo di ricorrere ad alcuni flashback per chiarire determinate vicende della vita del protagonista. Lo scorrere della prima parte di film è lenta, facendoci immergere gradualmente nella realtà selvaggia dell’Africa e iniziando a mostrarci quello che rende John/Tarzan così speciale, ovvero il suo legame con la natura e i suoi animali; più si addentrerà nella vastità della savana o nel cuore della giungla, più i vecchi sentimenti e i vecchi istinti si faranno strada ricordandogli quello che rappresentava per lui ciò che ha deciso di abbandonare. Il Tarzan descritto da Yates non è un supereroe, ma semplicemente un uomo che crescendo nella natura ha dovuto imparare ad abbracciarne tutti i suoi aspetti, anche quelli più violenti e selvaggi, ma che col tempo ha deciso di abbandonare.
La cosa sorprendente del film è rappresentata dalla profondità psicologica che ci viene data del “Signore delle scimmie”, un uomo diviso tra due mondi e che nel bene o nel male lo porterà a fare delle scelte e nonostante le mille qualità che fisicamente lo rendono superiore ad una persona normale, le sue incertezze e i suoi sentimenti lo rendono quanto mai uno di noi. Alla luce di ciò, la rivisitazione di questo Tarzan, è quanto mai convincente ed apprezzabile, ridando vitalità ad un personaggio che sembrava ormai essere stato sfruttato in ogni suo aspetto dal mondo del cinema. Il film nella seconda parte si ricorda di esser nato per essere un blockbuster estivo e decide quindi di partire con qualche scena action in più in preparazione del gran finale. La scelta del cast risulta quanto mai azzeccata: Alexander Skarsgård nel ruolo di Tarzan mostra tutto il carisma e il piglio giusti, espressivo quanto basta, regalandoci un'ottima interpretazione del personaggio. Ad affiancarlo troviamo Margot Robbie nel ruolo dell’immancabile compagna Jane e l’attrice australiana mostra anche in questa pellicola che oltre alla bellezza risulta dotata di un talento non certo secondario e di una grinta apprezzabile.
Accanto ai due protagonisti, poi, troviamo Samuel L. Jackson che si cala a pennello nel ruolo della spalla pronta ad elargire qualche battuta comica al momento opportuno. Nonostante tutta la buona volontà e di quanto apprezzabile fin qui detto, il film presenta delle immancabili imperfezioni. La pecca maggiore del film sta nell'utilizzo della computer grafica: alle volte è troppo netto il distacco tra ciò che è reale e ciò che non lo è. Nel dettaglio possiamo dire che considerando che il film è stato girato per la quasi totalità in Inghilterra (e in piccola parte girate in Gabon), era forte il rischio di presentare ambientazioni poco credibili del continente africano, ma se su questo aspetto il risultato è quanto mai buono, è invece sulla messa in scena degli animali che la CGI, alle volte non è all’altezza dell’opera messa in scena dal regista.
L’utilizzo dei flashback, generalmente, risulta una scelta positiva per velocizzare lo scorrere degli eventi, ma la tempistica in cui alcuni di loro vengono piazzati, alle volte, ha smorzato troppo il tono della narrazione. Per finire doveroso parlare di Christoph Waltz, il cattivo designato della storia. Dopo aver interpretato il villain nell’ultimo film di James Bond, c’era attesa di rivederlo nel ruolo di antagonista principale, ma questa volta viene relegato nel perimetro di un personaggio quanto mai stereotipato che limita troppo il talento di questo attore: sprecato. Nel complesso “The Legend of Tarzan” si rivela essere una piacevole sorpresa, che in quasi due ore di film sa regalarci la giusta dose di action, combattimenti e romanticismo senza mai annoiare. Voto 7,5 [.M.]