Lucca, 16 marzo 2024 – “Non è un caso che si parli di sindrome adolescenziale. Purtroppo è una fase della vita delicatissima, da trattare appunto come una malattia“. A parlare è un vero esperto, lo psicologo e psicoterapeuta, giudice onorario del Tribunale dei Minori, dottor Renato Bertolucci.
“In realtà siamo di fronte a una costellazione di sintomi – spiega –, tante pulsioni che si accavallano, tante motivazioni che generano disorientamento e confusione, non da ultimo i profondi cambiamenti in divenire del proprio corpo“.
Non c’è un unico “colpevole“, ma certo i social non aiutano. “Tik Tok, telefonini, messaggi. Una volta si cresceva con la storia tramandata di generazione in generazione, esperienze vere. Oggi – spiega lo psicologo – i ragazzi acquisiscono miriadi di dati tramite i social ma non sviluppano una vera padronanza. E spesso questo genera una scollatura con la realtà che, in qualche caso, non viene più distinta rispetto alla fantasia e viceversa. Ci sono casi di ragazzi che stanno al computer 24 ore su 24. Sono immersi nel mondo virtuale al punto che non vogliono più vivere la vita reale, non vanno a scuola, non fanno sport, non frequentano amici“.
A quel punto la famiglia si rivolge allo specialista. “E’ importante avere il coraggio di affrontare il problema subito, ai primi segnali – sottolinea Renato Bertolucci –, perchè aspettare rischia di complicare le cose. Ed è altrettanto importante agire in squadra con i genitori“.
Ma quali sono i campanelli d’allarme? “Per esempio appunto, il rifiuto di andare a scuola, o di uscire di casa. Ogni anomalia del comportamento deve essere osservata, capisco che non è sempre facile“. E dopo deve subentrare appunto il lavoro di squadra. Come?
“Il genitore deve essere pronto a mettersi in discussione. E anche a far sinergia perchè non è raro che, ad esempio, moglie e marito abbiano visioni diverse anche quando non sono separati. E le separazioni ovviamente sono un altro punto critico per l’adolescente“.
E quando la situazione precipita, ad esempio con manifestazioni violente? “In tribunale io sono sempre stato favorevole alla messa alla prova in cui il reato viene dichiarato estinto, ma il giovane ha modo di realizzare ciò che ha fatto e quindi di capire e correggersi, piuttosto che il perdono giudiziale o l’articolo 27. Secondo me è un modello di approccio al problema utile anche fuori dalle aule di tribunale“.