REDAZIONE LUCCA

Allo Scompiglio. Viaggio sonoro tra voce e canto

Domani sera alla Tenuta il duo Caggiano-Sorrentino e il Quartetto d’archi Sincronie insieme in concerto.

Domani sera alla Tenuta il duo Caggiano-Sorrentino e il Quartetto d’archi Sincronie insieme in concerto.

Domani sera alla Tenuta il duo Caggiano-Sorrentino e il Quartetto d’archi Sincronie insieme in concerto.

L’appuntamento è alla Tenuta dello Scompiglio a Vorno domani sera alle 19.30 con il concerto del duo Caggiano-Sorrentino e il Quartetto d’archi Sincronie. “Many have no speech“ è in realtà più di un concerto, piuttosto un viaggio sonoro attraverso stili e autori diversi, dedicato alla voce degli emarginati e di coloro che non hanno la possibilità di ritagliarsi un proprio spazio all’interno della società.

L’evento fa parte della rassegna Voce, vocalità e canto, curata da Antonio Caggiano, che nel corso del 2024 propone un itinerario artistico di otto concerti incentrati sulla voce e il canto negli spazi della Tenuta Dello Scompiglio. Il sipario si apre con il Quartetto per archi n.4 di Gian Francesco Malipiero, composto nel 1934, in cui un mondo sonoro fatto di echi di danze antiche e fantasmi di polifonie dolcissime provenienti dal passato viene oscurato da una serpeggiante inquietudine, figlia dei tempi bui in cui la composizione vede la luce. Il concerto prosegue con Jesus’ Blood Never Failed Me Yet, brano del 1971 di Gavin Bryars, in cui la voce di un clochard londinese sembra racchiudere in sé l’essenza del dolore universale e della solitudine senza consolazione. La sofferente preghiera di Jesus’ Blood prelude a un brano dedicato alla tragica figura dell’artista visivo statunitense Mark Rothko, alla quale Nicola Sani dedica Four Darks in Red (2009).

Genio assoluto del Novecento, Rothko ha regalato all’umanità delle opere dalla bellezza senza tempo, dall’impatto visivo totalizzante, prima di trovare nel suicidio l’unica via d’uscita dalla propria sofferenza. Paradigm è una composizione di Lukas Foss del 1968, in cui la voce, intesa come atto di liberazione e di protesta sessantottina contro l’emarginazione, è alla base di una performance collettiva dal fascino tribale, dove il percussionista dirige, spesso aiutandosi con frasi e urla, gli altri strumentisti in un delirio ritmico senza soluzione di continuità. Un atto di pura ribellione formale e sonora chiude così il concerto che vuole dare voce a chi voce non riesce ad avere all’interno del coro, spesso cacofonico, della nostra società (0583971125 [email protected]).