La pittrice “nascosta“ si è finalmente svelata. La straordinaria mostra omonima ospitata nelle scorse settimane al Palazzo delle Esposizioni della Fondazione BML ha avuto il merito di accendere i riflettori sull’artista Anna Maria Fabriani, giunta alla sua prima personale alla bella età di 100 anni. Una trama da romanzo. Anna Maria Fabriani si è infatti serenamente spenta il 14 novembre scorso, appena tre giorni dopo il vernissage, cui aveva preso parte con grande piacere, felice e quasi stupita per il clamore dell’evento.
Ma la sua non è affatto una storia triste. E’ la storia fantastica di una donna, di un’artista appassionata che si snoda tra la sua Roma e la Toscana, per approdare tra le braccia di Lucca, dove ha vissuto gli ultimi dieci anni e dove aveva continuato a dipingere. Classe 1924, Anna Maria Fabriani, ha frequentato l’Accademia delle Belle Arti di Roma: era allieva di Carlo Socrate, uno degli artisti di punta della Scuola Romana. Ma ci racconta molto di più la figlia Sabina Ambrogi, curatrice della mostra.
Perché un’artista come sua madre è rimasta “nascosta“ così a lungo? "Ce lo chiedevamo anche noi, fin da piccoli. Godevamo dei suoi dipinti, della sua passione. Ci dicevano che erano quadri di valore, passavano di casa in casa. Si trattò di scelte consapevoli, vissute da lei alquanto serenamente e con una certa ironia. In tarda età lo spiegava così: “Se io mi fossi messa a dipingere come mio marito scriveva, tutto il giorno chiuso nello studio, la famiglia sarebbe esplosa in una settimana...”".
Suo padre Silvano Ambrogi, cresciuto a Migliarino, era un affermato scrittore e intellettuale, scomparso prematuramente... "Sì, fu tra l’altro autore dei “Burosauri“, un testo satirico interpretato in gioventù da Roberto Benigni. Morì nel 1996. Mia madre aveva continuato a dipingere fino agli anni ’70, ma poi aveva cessato del tutto, dedicandosi all’insegnamento della Storia dell’arte, alla famiglia, a me e mia sorella Cecilia. Ma alla morte di mio padre, lei recuperò dalla cantina il ritratto che gli aveva fatto da giovane intorno al 1960, rimasto incompiuto. Lo completò e da allora non smise più di dipingere, di sperimentare con i pennelli".
La seconda giovinezza artistica? "Sì. E pur avendo una casa grande a disposizione, scelse di posizionare il cavalletto nella sua camera da letto: è diventata il suo atelier, dove ha respirato giorno e notte odore di trementina e colori a olio".
E come dipingeva qui? "Aveva due grandi finestre, puntava la luce naturale sugli oggetti aiutandosi con applicazioni provvisorie di tende e fogli di giornale sistemati sui vetri. Formava l’inquadratura come farebbe un direttore della fotografia al cinema. Le sue nature morte in realtà sono vive, proiettate oltre quelle finestre".
Insomma, tutt’altro che un hobby artistico... "Esatto. Per mia madre la pittura era qualcosa di viscerale, viveva in modo particolare il rapporto con le sue opere. Era un rapporto di donazione e offerta, soprattutto con i fiori. Qualcuno le regalava i fiori e lei nominava il quadro con la persona che li aveva offerti o con il destinatario. Un’idea dell’arte per pochi".
La qualità di queste opere è evidente, ma la critica non si era mai occupata di lei? "Mia madre teneva i quadri in casa, o li regalava. Era difficile esporre per una donna a quei tempi. Poi su di lei ha pesato la “damnatio memoriae“ del dopoguerra sulla Scuola Romana, dato che Carlo Socrate ad esempio era il pittore preferito di Italo Balbo. Diciamo che grazie al mio (faticoso) lavoro di recupero finalizzato a questa mostra di Lucca ora si sono accesi i riflettori. Nel catalogo edito da Pacini Fazzi ci sono contributi importanti e autorevoli sulla sua pittura e anche sul tema delle donne che hanno dipinto nel Novecento, ma sono rimaste nell’ombra. Questo tema meriterebbe un format a sé...".
Sua madre ha continuato a dipingere anche in tarda età, quando si è trasferita a Lucca? "Certo, l’arte era vita per lei. Aveva un talento che in fondo non ha mai smesso di coltivare. Ha dovuto smettere solo quando si è rotta il femore. Non potendo più stare in piedi al cavalletto per ore, si è rifiutata di cambiare quel suo rito quotidiano quasi sacro, richiesto dal suo approccio figurativo".
La mostra al palazzo delle Esposizioni è stata subito un grande successo. Sua madre era felice? "Moltissimo. Anche sorpresa. Vedere quasi tutti i suoi quadri esposti e ammirati le ha riempito il cuore. E c’è un’esperienza fantastica che voglio sottolineare: il progetto “Artebambini“ che li ha messi in relazione con le opere in mostra, lasciandoli liberi di interpretarle e “trasformarle“ con la fantasia. Geniale".
Poi quell’uscita di scena improvvisa, da artista contemporanea... "Mia madre è morta, serenamente, dopo che io ho svelato (forzando anche la sua storica riluttanza) quasi tutta la sua opera con questa mostra: sul piano simbolico si è completato il suo ciclo artistico, con decine e decine di persone che la conoscevano da anni, ma hanno scoperto solo adesso la sua incredibile dimensione artistica. A quel punto è uscita di scena così, da... performer di altissimo livello". Tra gli applausi, aggiungiamo noi.