Bob Dylan incanta 6mila fan dopo ben venticinque anni dal primo concerto in piazza

In piazza Napoleone il Premio Nobel inaugurò il Summer Festival proprio il 6 luglio 1998. Musica e parole protagoniste in una serata con il pubblico senza i cellulari e foto vietate.

Il concerto di Bob Dylan di ieri sera in piazza Napoleone, davanti a seimila persone, ha chiuso idealmente il cerchio dei primi venticinque anni precisi del Summer Festival, inaugurato proprio dal Premio Nobel il 6 luglio 1998. Quando nessuno, forse neppure il “patron“ Mimmo D’Alessandro, poteva pensare di arrivare fino a oggi con un festival diventato straordinario, anche grazie proprio a Bob Dylan.

Nessuno sa se rivedremo Dylan dal vivo, ma è certo che questo “Rough and Rowdy Ways tour“ è uno dei suoi più scarni ed essenziali. A iniziare dalla scenografia, un semplice (o no?) drappo rosso e poche luci. E poi la scaletta, per oltre metà tratta dall’omonimo ultimo album, più un paio di cover, più alcuni brani tratti qua e là dallo sterminato repertorio, ma nessuno particolarmente significativo dal punto di vista della conoscenza da parte del grande pubblico che non sia proprio quello dei fan più fedeli, forse a eccezione di “Gotta serve somebody“ da “Slow train coming“, ma siamo sempre in territorio fan.

La band ha l’impronta blues, prevalente nella produzionedal suono blues in uno show che propone Bob costantemente al pianoforte, per “Watching the river flow“, tratto da “Greatest Hits II“ e “Most likely you go your way and I’ll go mine“, dal capolavoro “Blonde on blonde“. E poi, tutto “Rough and Rowdy Ways (escluso “Murder most foul“, il pezzone di sedici minuti)“, un lavoro che parla di America, di storia, ma anche del presente e da considerare senza dubbio una grande opera.

In questo Dylan si comporta, paradossalmente, quasi da artista alle prime armi che suona dal vivo l’ultimo disco e poco più. Non essendo segno di gioventù, visti gli oltre ottant’anni del nostro protagonista è invece segno di futuro, in ogni caso: "il passato è passato e non mi interessa più di tanto - sembra dire Dylan con questo spettacolo – ma voglio ancora dire la mia".

E lo fa, in una serata quasi surreale senza maxi schermi, senza foto e riprese neanche ufficiali di giornali e tv, ma soprattutto senza telefoni cellulari, messi “sotto chiave“ agli spettatori una volta entrati nell’area concerto. Nessuna distrazione per artisti e spettatori, solo musica e parole da ascoltare, con la voce di Bob quasi recitante a raccontare la sue storie. I fan rispondono con entusiasmo cogliendo al volo qualsiasi occasione di contatto: un cenno con la mano, un grazie, il presentarsi in piedi in primo piano. I “curiosi“ certamente sono apparsi disorientati da tutto l’apparato, ma c’è da pensare che alla fine siano rimasti anche loro soddisfatti.

La platea ha in maggioranza capelli bianchi, ma non sono pochi i giovani, soprattutto nella zona riservata ai posti in piedi. D’altra parte Dylan sta anche nei libri scolastici e anche se in casa non si ha almeno un suo disco o non te lo hanno fatto mai ascoltare, andare a vedere dal vivo su un palco un Premio Nobel non è cosa da tutti i giorni. E liberarsi dagli smartphone per un paio d’ore scarse, tutto sommato, non è poi un grandissimo sacrificio. Qualcuno, certo, lo avrà preso come il capriccio di un eccentrico artista, ma da troppo tempo ai concerti vediamo gente che non fa altro che selfie, foto e riprese. Che insomma sta tutto il tempo con il telefono in mano, senza invece godersi veramente lo spettacolo. Ieri sera, invece, il miracolo...

Paolo Ceragioli