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Coronavirus. "Io, sopravvissuto nell’inferno di Bergamo"

Il quarantenne Alfredo Ghiloni è un sopravvissuto al Coronavirus: "Mi è andata bene, ma lassù è una strage"

Alfredo Ghiloni, detto ‘Bebo’, ha 40 anni ed è di Filecchio (foto Borghesi)

-Filecchio (Lucca), 30 marzo 2020 -  A Filecchio lo chiamano Bebo, ma lui di nome e cognome fa Alfredo Ghiloni. Ha 40 anni e quando sarà vecchio ed avrà tanti e tanti nipoti, una sua storia terribile sicuramente l’avrà da raccontare. Alfredo, il Bebo, è un sopravvissuto del coronavirus. Uno che la morte non l’ha vista troppo da vicino, ma insomma, via, quasi. Bebo è sul fronte vero, quello più cruento. Vive e lavora in provincia di Bergamo ed è testimone diretto della disfatta di una città che non ha più i mezzi, e forse non li ha mai avuti, per una catastrofe di questa portata, per continuare ad affrontare tutto questo. Anche lui si è ammalato, il 9 marzo è iniziata la sua odissea che per fortuna si è conclusa bene, ma tanti che conosce non ce l’hanno fatta, anche due suoi colleghi.  

«Bergamo è una città che non dorme mai, piena di cose da fare e da vedere; ed ora sembra una città morta. Sembra di essere sul set di un brutto film; qui si vive come in guerra e tutto è al collasso: il virus ha colpito a morte non solo le persone, ma l’intero sistema di questo territorio. Tra le più grosse difficoltà quella di smaltire le salme. In giro non c’è nessuno, senti solo le ambulanze che non smettono mai di urlare, giorno e notte, le file che fai per comperare da mangiare sono interminabili ed al supermercato non solo ti misurano la febbre e di fanno lavare le mani, ma ti controllano anche la reattività degli occhi. Una specie di visita medica insomma".  

Il racconto di Alfredo Ghiloni è aggiacciante: "La gente muore – prosegue – , muore di continuo. Non fai nemmeno in tempo ad accorgetene a volte, che le persone che conosci non ci sono più, se le sono portate via e non c’è stato nemmeno il modo di salutarle. Non ci sono più e basta. Gli ospedali sono al collasso, strapieni di malati, i sanitari sono a rischio e si ammalano perché non hanno gli strumenti per isolarsi che arrivano a rilento; i giovani specializzandi vengono sbattuti in prima linea, allo sbaraglio, per riempire le file lasciate vuote da chi è stremato o ammalato". Ghiloni si è ammalato il 9 marzo, l’ha vista brutta, ma è andata meglio di tanti altri. "Prima arriva la febbre che ti curano come una febbre normale con gli antipiretici, ma nel frattempo cominci a debilitarti, poi non senti più il gusto delle cose ed allora vuol dire che ci sei proprio dentro. Nel giro di pochissimo tempo cominciano le crisi respiratorie e quando cominci a stare male ti vengono a prendere. A me non è andata male, è bastata una puntata alla Guardia medica e poi sono tornato a casa. Per qualche giorno sono stato fuori dalla realtà, non ce la fai a fare niente, non avendo gusto non ti viene nemmeno voglia di mangiare, ma devi farlo se non vuoi indebolirti ancora di più. Non sono stati bei momenti, ma è passata e da qualche giorno posso anche uscire; è come rinascere….". Luca Galeotti © RIPRODUZIONE RISERVATA