CLAUDIO CAPANNI
Cronaca

Mauro e quei costumi-capolavoro da cosplayer

Di giorno tecnico, di notte cosplayer. Ridolfi negli anni ha realizzato 15 creazioni, considerate veri gioielli. «Vi racconto la mia febbre»

Mauro Ridolfi con il suo casco di Actarus

Lucca, 31 ottobre 2019 - Il battesimo fu col ferro nel 2005. Quel giorno di 14 anni fa, ai Comics, ci piombò con l’armatura del nonno di tutti i robottoni: Robocop. Creata nei brandelli di tempo scuciti dal doppio lavoro di tecnico alla ProntoPharma e disegnatore alla Poliart di Capannori. E scolpita nel solo materiale che lui, Mauro Ridolfi, lucchese doc di 48 anni, modellava come pongo: il ferro. «Pesava 45 chili» ricorda Mauro, veterano del cosplaying con alle spalle 15 costumi fatti a mano. «All’epoca ci si ispirava a personaggi del cinema». Come il suo Robocop. Mauro, che quando faceva il fabbro, fra le incudini era ribattezzato ‘Cric’, se lo ‘cucì’ battendo il metallo per gioco, per un carnevale con gli amici. «Poi scelsi di portarlo ai Comics».  La gente restò di stucco. E lui, da dentro il casco di ferro satinato, spiava le pupille dilatate di chi lo incrociava. «L’anno dopo realizzai Actarus, uno dei protagonisti di Goldrake». Fu l’anno zero del cosplaying: quel costume fece capire che ‘robottoni’ e affini sputati fuori dai Mivar negli occhi di una generazione, all’alba degli anni ‘80, potevano respirare ossigeno. «L’edizione seguente, ai Comics ci fu un tentativo di migliorare la qualità di costumi, materiali, colori». La cartapesta lasciò spazio alle resine. Non più mascherata, ma lavoro di cesello. 

Oggi far sfilare il ferro nel fiume di etilene vinilacetato, sarebbe come piazzare una radio a valvole accanto a un cavo di fibra ottica. «La tecnologia s’è trasformata, quasi tutti usano la ‘Eva Foam’, il materiale dei materassini da palestra». A restare identica è la gioia cieca di vestire una seconda pelle, ubriacarsi di sguardi altrui. «Ma anche, strappare dalla loro prigione di carta, personaggi di fumetti, sentire un fan che ti ferma e dice: ‘grazie, hai fatto vivere il personaggio del mio cuore». Roba facile? Per nulla. Perché ogni cosplayer è una fabbrica, dove capo, sarti, creativi e operai sono la stessa (unica) persona. Ma il profitto, sgobbato in 12 mesi , è solo la gloria. «Un costume, come quello che porterò oggi, per i 40 anni di Jeeg, richiede un anno di lavoro».  Mauro sarà il pilota del ‘cyborg 2’, la seconda trasformazione del robot sfornato nel 1975 dalla Toei Animation. Nessuna spesa folle: i materiali si raccimolano con meno di mille euro. La mazzata vera, è il tempo. «Tanto che dopo ogni anno, dici sempre che quello sarà l’ultimo costume». Prima di tutto bisogna schizzare un cartamodello, tirare su un’armatura in fil di ferro.

«Per farla si dovrebbe scansionare il corpo, poi calcolare perimetro, profondità e raggiature». E lì è già partito un mese. Specie per chi, come lui, non ha un garage e fa tutto in casa dopo lavoro e moglie. Che lo sostiene. «E per i Comics, prende ferie per starmi al fianco». La notte si lavora a testa bassa. «Poi si ottiene il modello in polistirolo». Dopo c’è il poliestere che con la termoformatura deve aderire allo scheletro in fil di ferro. Da laminare, stuccare, coccolare nei millimetri. Qui sono già stati bevuti sei mesi, ma siamo solo a metà. 

Verniciatura, scelta dei colori e vestizione verranno altri 6 mesi dopo. E per chi sente la pressione, l’ansia va alle stelle. Prima di andare in scena si fanno i conti con la lezione di vita, che farcisce il cosplaying. «La sfida è avere un progetto di lungo periodo: fare una promessa a se stessi e mantenerla». E la sindrome da Paganini, non ripetere quel che già è perfetto, scava i nervi di ogni cosplayer: «La perfezione è bella da vedersi, ma non va mai raggiunta. Piuttosto accarezzata».  Perché una volta arrivati al massimo, non resta che precipitare. E allora è bene fare piccoli passi, come quelli che Mauro muove il primo giorno di Comics. Per paura che qualcosa nel costume si inceppi, si stacchi, faccia cilecca. «Mai superare la perfezione, serve per migliorarsi». Meglio camminarci incontro lenti, ma a testa alta. Come il suo Jeeg, come chi ha vinto una guerra. Contro se stesso e i propri lmiti.