REDAZIONE LUCCA

Dal Monastero all'Ospedale dei Pazzi, la Storia di Maggiano

Dal 1218 al 1978, il Manicomio di Maggiano ha ospitato persone considerate "diverse" e malate di mente. Un luogo di sofferenza, ma anche di solidarietà, dove Mario Tobino ha raccontato le storie dei suoi "matti". Una storia che si è conclusa con la "riforma Basaglia".

Dalla pace alla pazzia, dalla preghiera alla pietà, dalla segregazione lontano da tutti alla solidarietà. Qui hanno vissuto per un paio di secoli i “condannati“ da un destino crudele e animati da una “follia maledetta e misteriosa natura“. Sul colle di S.Maria di Fregionaia, nascosto tra i boschi e gli occhi della civiltà, per due secoli visse una delle strutture psichiatriche più grandi in Italia e meglio conosciuta come il Manicomio di Maggiano dove "…attendo: gloria e morte..." ebbe a dire il suo principale menestrello, lo scrittore Mario Tobino. Ancora oggi, quei luoghi trasudano di storia, devozione e sofferenza.

Quello “Spedale dei pazzi“ come in origine era stato battezzato, divenne luogo di sofferenza e di espiazione di un peccato mai commesso, ma ereditato da un ignoto destino. Qua vennero confinati i matti, tutti quelli ritenuti malati di mente. Ma in origine, nel 1218, a tanto risale, quel posto era stato eretto come luogo di pregheria da un certo Marcoaldo Malpigli che vi si era ritirato insieme ad altri religiosi per una vita ascetica e di contemplazione, nel silenzio della natura e lontano dalla civiltà.

Quella piccola comunità, nel tempo aveva saputo crescere abbracciando la regola dei Canonici Lateranensi, fino a realizzare un grande monastero in mezzo alla natura incontaminata. Solo nel tardo Settecento, la penuria di vocazioni e il progressivo isolamento della comunità ridottasi a pochi elementi, portò al suo abbandono e alla volontà della Repubblica lucchese di recuperarlo, destinandovi i malati di mente.

Nacque così, nel 1770, con il beneplacito di Papa Clemente XIV, lo “Spedale dei pazzi“ più conosciuto d’Italia. Maggiano, anzi Magliano, divenne il luogo della follia, in grado di ospitare ben 1.400 pazienti che, inizialmente, proprio matti del tutto non erano. Con quella definizione, infatti, venivano bollati tutti i “diversi“, quelli che non rispettavano i canoni del comune pensare e agire, e che a Lucca, fino ad allora erano detenuti nel carcere della Torre di Palazzo, insieme ai malviventi comuni. Dal 20 aprile 1773 cambiò la storia di questo luogo dove, tra i suoi chiostri, una volta cellette dei santi e da quel momento celle di custodia e riabilitazione dei nuovi ospiti, e tra le sue “antiche scale“, visse in un mondo a sé una comunità di persone, divisa in due reparti, maschile e femminile, che dovette imparare, come parte del programma di recupero, a badare a se stesse, con il lavoro, riaffermando il loro diritto ad un’esistenza dignitosa: gli uomini nei campi, le donne dedite al cucito, la pulizia dei luoghi e la cucina.

Un luogo di “matti“, ma anche di sentimenti. "La mia vita è qui, nel Manicomio di Lucca... Qui sincero mi manifesto. Qui vedo albe, tramonti e il tempo scorre nella mia attenzione. Dentro una stanza del Manicomio studio gli uomini e li amo" scrisse Tobino. E se non fosse stato per lui, che per quarant’anni, come medico prima e primario poi, ne aveva condiviso le storie, per poi raccontarle con la forza della sua penna agli italiani, forse la storia dei “matti di Magliano“ sarebbe stata insignificante. Tobino si battè per i suoi matti, ma a nulla servì per scongiurare la “riforma Basaglia“ che decretò la fine di quelle istituzioni.