Se fu “colpa“, si fa per dire, di Eriprando o se solo Eriprando ebbe il merito di rendere quel posto, un varco più sicuro per l’attraversamento del fiume Serchio, non lo sappiamo, ma dal X secolo, quel luogo fu ribattezzato Nave, appellativo che gli appartiene ancora oggi.
La zona di Nave era divenuta il punto d’imbarco e di sbarco della “nave“ o meglio della zattera di Eriprando, che su un’imbarcazione di fortuna, consentiva ai pellegrini e a chi aveva necessità di passare sull’altra sponda, di avere un attraversamento comodo e sicuro. Laddove finiva il “prato“ del Marchese di Toscana, quell’ampia fascia di territorio che dalla regale residenza estiva posta in quello che oggi chiamiamo piazzale Verdi, si raggiungeva il fiume attraversando la “plagia“ di S.Anna, tenuta di caccia del marchese e ricca di boscaglia, vegetazione e animali, prima di guadare il fiume.
L’ampiezza del suo corso d’acqua non era quella attuale, con le due sponde molto più lontane e un letto irregolare, senza argini artificiali che, in corrispondenza di grandi piogge, ampliava di molto, la sua larghezza, rendendone difficile l’attraversamento. La forza delle correnti e la profondità dell’acqua in alcuni punti, impedivano anche ai più ardimentosi un passaggio a piedi, che pur di non pagare il pedaggio, provavano in proprio e a proprio rischio, determinandone la sua fortuna. Su e giù, avanti e indietro, il buon Eriprando fece il solco in quel lembo di terra e acqua finché, finita la sua epoca, non si sa se per una piena disastrosa che portò via o distrusse per sempre la sua barchetta, o nave che dir si voglia, si preferì realizzare un più comodo e veloce passaggio tra le due sponde, costruendo un primo anzi due ponti in legno da e verso una piccola isoletta, che emergeva proprio nel mezzo del letto del fiume.
Ma come tutti i ponti dell’epoca realizzati in legno, rimanevano in balìa della forza delle acque che a più riprese li travolsero distruggendoli. E ristretto il letto del fiume e studiata meglio la sua realizzazione, fu deciso di fare un unico ponte, sempre di legno, ma più resistente e con i pilastri in pietra, dando vita al Ponsampieri. Nacque, così, sulle rovine della Nave di Eriprando il primitivo Ponte di San Pietro, intitolato al santo protettore, che divenne passaggio preferito, se non obbligato, per i pellegrini che percorrevano la Francigena per raggiungere Lucca. E proprio in corrispondenza su una delle due sponde sorse un hospitale che funzionò per tanto tempo, per dare ristoro ai viandanti.
E quando non furono le acque a determinarne la distruzione, furono i nemici di Lucca, soprattutto i fiorentini, durante le loro scorrerie sul territorio, a distruggerlo più volte. Ma ogni volta, il ponte “risorse“ più bello e resistente di prima, tanto era aumentata la sua importanza strategica nelle comunicazioni sul territorio, a cui si aggiunsero gli ultimi decisivi ritocchi a cavallo del XVIII secolo, per farlo arrivare integro fino ai giorni nostri, rimanendo indenne, uno dei pochi, anche dalla distruzione operata dai tedeschi durante la loro ritirata alla fine della seconda guerra mondiale.