Fabbriche di Vergemoli, 14 dicembre 2019 - Fabbriche di Vallico, ora Fabbriche di Vergemoli per via della fusione fra comuni, è un borgo magico; accostato alla montagna, ha di fronte il Turrite, un torrente che si riversa nel Serchio, e che scorre perenne passando anche sotto alcuni ponti di antica memoria, uno dei quali al margine del paese, dove si trovava la sede de La gabella, da pagare per coloro che oltrepassavano il confine. A far sviluppare il borgo, si vuole siano stati i bergamaschi, che nel Trecento installarono accampamenti e officine lungo il Turrite, per meglio dedicarsi alla lavorazione del ferro; i loro prosecutori sono stati i cosiddetti “distendini” che hanno lavorato fino agli anni Settanta, forgiando ogni sorta di attrezzo da lavoro. Ma il territorio di Fabbriche di Vergemoli, è stato abitato fin dall’antichità, addirittura pare anche dagli etruschi, dei quali, sono state trovate statuine dedicate ai loro dei nella Buca della Tana o di Casteltendine, ai confini tra Cardoso e Vallico Sopra, adesso conservate al museo Guinigi di Lucca. Densamente popolato per via dell’attività delle ferriere, dal borgo fabbrichino si cominciò ad emigrare nella seconda metà dell’Ottocento. Le loro attività artigianali furono spazzate dall’incalzare delle industrie.
Allora si cominciò ad emigrare, soprattutto in America del Nord e del Sud. La terra, del resto, non avrebbe dato da vivere. La produzione di frumento, patate, castagne, vino e farina di castagne non avrebbe sopperito alle necessità alimentari degli abitanti. Diminuita la popolazione, chi rimaneva si inventò nuove attività, tra cui quella di vetturino coi muli, coi quali trasportavano legname, carbone, vettovaglie per le botteghe e altro. Poi vennero le guerre. La Prima e la Seconda. Molti furono i caduti. Ma la voglia di riprendersi la vita nella propria terra non diminuiva, e così sorgevano botteghe, forni, e perfino, dopo la Seconda guerra, le autolinee Daniele Luisi, un pioniere dei trasporti, che faceva ogni giorno due corse a Lucca andata e ritorno. Un grosso passo in avanti, che contribuì non poco a ridurre l’isolamento del borgo. Alle diligenze e i calessi, s’era infatti sostituita la cosiddetta Caffettiera: un pullman di quei tempi il cui motore, alla partenza, emetteva un rombo che sembrava uno stridere di ferro contro ferro. Dopo gli anni Cinquanta, un nuovo esodo coinvolse le frazioni fabbrichine. Stavolta non si andava oltre Oceano, ma nella Piana di Lucca o di Pisa, oppure in Belgio, Francia e Germania. Molti, di quelle terre, saranno così minatori nei giacimenti di carbone belga. Nei paesi cambiò la vita.
Le porte di troppe case furono sprangate, e poche le persone che transitavano nelle vie. Ma d’estate e nelle festività, molti ritorneranno alle proprie radici. Vicini o lontani, la terra natale costituisce sempre un richiamo imprescindibile. Intanto siamo arrivati agli anni del boom economico, che ovunque recò il benessere dei consumi. I prodotti caseari, derivati dagli allevamenti delle mucche e delle pecore, non saranno più tenuti in fresco nei “casalini”, luoghi particolarmente areati, ma nei frigoriferi; il sindaco Ermete Giusti di Vallico Sotto, farà erogare l’acqua nelle case, coi conseguenti ammodernamenti igienico sanitari. Infine giungeranno le strade carrozzabili, e gli abitanti potranno disporre della macchina. Negli anni Settanta, molti, organizzate delle squadre, andranno a lavorare coi pulmini nei calzaturifici di Segromigno, allora centro calzaturiero di prim’ordine, che esportava i suoi prodotti ovunque. Intanto l’emigrazione, salvo qualche caso, si era fermata. Gli abitanti giovani lavoravano nelle fabbriche e gli anziani e le donne accudivano al bestiame.
Ma le generazioni si succedono. I giovani di ieri sono gli anziani di oggi, ormai in pensione e non possono dedicarsi, come vorrebbero, alla cura dei propri terreni. Solitudine e abbandono avvolgano luoghi un tempo fiorenti e allegri e dove si perpetuavano tradizioni di una cultura non affatto minore, che riscontriamo anche nel linguaggio, intercalato da parole che paiono dialettali, ma che non lo sono, in quanto superstiti dell’antico fiorentino del Due e Trecento. Territori dunque, come a suo tempo suggerì Carlo Azeglio Ciampi, da preservare e valorizzare: raccontano una storia parallela che non deve andare dispersa. Ma perché ciò non avvenga, bisogna correre ai ripari. A cominciare dal recupero della preistorica mulattiera, che dalla località Bose si inerpica lungo la costa, traversando i paesi di Vallico Sotto e Vallico Sopra giunge fino a San Luigi, zona estrema di quest’ultimo. Monumento di bellezza e di ingegno dei nostri antenati, forse persino dell’uomo di Neanderthal , è in disfacimento. Non solo per l’abbandono in cui versa, ma per il transito delle moto da cross che ne hanno divelto il selciato di sassi e di pietre, poi, in alcuni tratti, è stata spianata dal passaggio di strade interpoderali.
La chiesa di San Michele di Vallico Sopra, che custodiva arredi sacri di un certo valore, ha subito, a ripetizione, la visita dei ladri alla stregua di quella di Vallico Sotto. Ancora dalla mulattiera, nei giorni di pioggia, l’acqua scende in maniera irregolare e scomposta, invadendo un tratto de La piazza di Vallico Sopra, nelle cui strade i tombini sono, da anni, intasati di terra. Non bastasse ,sempre a Vallico Sopra, poco prima dell’ingresso in paese, è stato realizzato un parcheggio, che, oltre alla deturpazione paesaggistica, ha messo a rischio una zona idrogeologicamente a fragile; durante i lavori di scavo, è infatti emersa una sorgente, adesso asfaltata. Dalla carrozzabile che raggiunge S. Luigi, ancora nei giorni di pioggia, un torrente di fango scende fin in località Bolici, e si teme una frana come anni fa, quando rotolarono massi di grande entità. Altra preoccupazione della gente è stato l’abbattimento dell’edificio comunale di Fabbriche, il cui intento sarebbe di riedificarlo con le dovute norme sismiche. Ma qualche tecnico è del parere che si poteva rimediare senza un lavoro così radicale.
Recuperare dall’abbandono e dal degrado questi meravigliosi borghi non sarà quindi facile. Ma il fatto che la Regione Toscana voglia impegnarsi con una serie di progetti a evitare un’ulteriore fuga di residenti apre spiragli di speranza. La speranza che siano almeno preservati e tutelati come patrimonio culturale, paesaggistico morale e storico.
Storia di un passato che ci appartiene, e che ha contribuito a darci quello che più conta: un’identità.