Femminicidio, il nodo è la perizia psichica

Udienza lampo in Corte d’Assise per Luigi Fontana, reo confesso dell’omicidio della moglie Carmela, uccisa ad Altopascio lo scorso maggio

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Udienza lampo ieri mattina al processo in Corte d’Assise per il femminicidio di Altopascio che il 28 maggio scorso costò la vita a Maria Carmina “Carmela“ Fontana, 50 anni, uccisa a coltellate nella villetta al civico 17 di via Fermi dal marito Luigi Fontana, muratore 54enne. L’uomo, reo confesso dell’atroce delitto, si trova ancora in carcere, dopo un breve passaggio in ospedale nei giorni immediatamente seguenti la tragedia.

Ieri Luigi Fontana è comparso in aula davanti alla Corte presieduta dal giudice Nidia Genovese, senza proferire parola. Il pm Alberto Dello Iacono (sostituito ieri in udienza dal pm Sara Polino) lo accusa di omicidio volontario, sottolineando nel capo di imputazione la chiara volontà omicida dell’uomo, anche se da parte della difesa all’epoca dei fatti si parlò di un possibile vizio di mente.

Uno dei nodi intorno ai quali ruota il processo è proprio quello della salute psichica dell’omicida, difeso dagli avvocati Graziano Maffei ed Enrico Carboni. Alcune settimane dopo il femminicidio la Procura aveva incaricato la pg dei carabinieri di ascoltare i medici del reparto di Psichiatria dell’ospedale San Luca dove Luigi Fontana era stato ricoverato dal 28 maggio fino al 3 giugno. Questo per fare luce sullo stato psichico del 54enne di Altopascio e cercare di capire se lo stato di alterazione mentale dell’uomo sia scaturito dopo il femminicidio, oppure se l’operaio 54enne soffrisse già di un qualche disturbo psichico.

I difensori sono pronti a produrre una propria consulenza e altrettanto annunciano le parti civili. Valutazioni decisive per capire se Fontana fosse in grado di intendere e di volere al momento del delitto.

Carmela Fontana fu trovata morta quel 28 maggio poco dopo le 14 nella villetta al civico 17 di via Fermi ad Altopascio. Ad ucciderla erano state le numerose coltellate inferte dal marito con un coltello da cucina di 20 centimetri. L’uomo dopo l’omicidio era corso fuori di casa con le mani ancora insanguinate in stato di profondo choc. Dietro il gesto, secondo quanto ricostruito dai carabinieri e in parte ammesso durante l’interrogatorio di garanzia, ci sarebbe stata una morbosa gelosia.

Il muratore accusava la moglie di avere una relazione extra coniugale e da qui scattò la scintilla omicida. L’udienza di ieri, dopo l’ammissione delle liste dei testimoni, è stata rinviata al 23 marzo, per poi calendarizzare altre due o tre udienze al massimo e quindi arrivare alla sentenza. L’unico nodo la disponibilità effettiva degli avvocati impegnati nel lungo processo d’appello per la strage di Viareggio che riprenderà il 7 aprile.

Paolo Pacini